Richard Siegal chiude il Festival Equilibro con un trittico sulla diversità
È con Ballet of Difference. Triple di Richard Siegal che si è conclusa l’edizione 2022 del Festival Equilibrio all’Auditorium Parco della Musica di Roma lo scorso 26 febbraio.
Tre sono le opere portate in scena in questo trittico della diversità: All foe one (A.K.A. SPRIAL), Metric dozen e My generation.
Il progetto del coreografo americano è proprio quello di raccontare le differenze fisiche, sessuali, e culturali dell’uomo e lo fa mettendo in relazione alcuni dei suoi lavori più significativi creati negli ultimi anni per il Richard Siegal / Ballet of Difference la sua compagnia fondata a Monaco nel 2016.
La novità del lavoro non sta, quindi, in una nuova creazione bensì in una lettura omogenea della sua idea di diversità in un mondo sempre più omologato e che si muove sulla scia della massa.
Se con All for One Siegal gioca su un disegno luci ‘psichedelico’ che crea sui corpi dei dieci danzatori in scena diverse percezioni dei corpi, i quali si cimentano in tecnicismi estremi, ciascuno peculiare alla propria fisicità, in My Generation l’artista sposta il focus della coreografia su una critica al consumismo e all’industria del pop. Grazie ai costumi di Flora Miranda e alle luci del lighting desiner Matthias Singer da un lato, e agli abiti del fashion designer Bernhard Willhelm dall’altro, Siegal tesse un ambiente visivo, sonoro e coreografico che strizza l’occhio agli anni Ottanta, al metal e al punk, alla discodance e al proliferare dell’eclettismo.
Si danza, infatti, la protesta tipica dell’epoca post moderna. Si affiancano danzatori bianchi ad altri di colore, performer alti e longilinei ad altri bassi e con una muscolatura importante, le scarpette da punta si fondono con dinamiche che non nascondono la loro matrice hip hop.
Tra questi due estremi si colloca poi come coreografia ‘di mezzo’ Metric Dozen. Essa porta in scena, dopo tanto kitch, la sobrietà. I movimenti si fanno armoniosi, le braccia sinuose, le parti corali più compatte. Tuttavia, i costumi, delle aderenti tutine nere, non disdegnano le paillettes, rievocando ancora una volta (per dirla con Raf) ‘quegli anni Ottanta’.
Lo spettatore segue scorrevolmente tutti e tre i quadri, non fatica ad interpretare la coreografia né quando questa appare circense né quando se ne smussano i tratti più spigolosi. Il trittico di Siegal è un manifesto futurista moderno che ancora crede con fervore nel potere dell’arte, che sembra per un attimo scadere nella parodia, ma invece racconta con raffinati tecnicismi le diverse strade della danza contemporanea.