Penguin Café – The Imperfect Sea
Buon sangue non mente. Vero, ma di gruppi sanguigni ve ne sono diversi e talvolta accade che un figlio non erediti esattamente quello del padre.
Se il pinguino sull’album della copertina non tradisce l’immagine dello storico ensemble Penguin Cafè (in origine Penguin Cafè Orchestra) lo stesso non può dirsi – o almeno non del tutto – per il contenuto dell’ultimo lavoro che va sotto questo nome. La Penguin Café Orchestra era una piccola orchestra da camera fondata dal chitarrista Simon Jeffes e dalla violoncellista Helen Liebmann. Dopo la scomparsa di Jeffes, il figlio Arthur in un primo tempo ha riproposto dal vivo il repertorio del padre, e solo successivamente ha dato vita ad una propria produzione discografica, di cui l’ultimo lavoro porta il titolo The imperfect Sea.
Sebbene sia palese sin dalla prima traccia l’intenzione di identificarsi con il mondo delle sonorità delicate e suggestive (che fanno la cifra distintiva della “Penguin orchestra”), l’album lascia ben presto trapelare il tentativo di attualizzare lo stile minimal/acustico della tradizione conferendole una leggera veste new age ed elettronica. La contaminazione però si percepisce appena: essa assume la consistenza di un velo leggero che rende l’atmosfera ancor più rarefatta, a tratti onirica. L’elettronica dà il suo contributo al passaggio del Penguin cafè all’era contemporanea senza tuttavia snaturarne l’originale vocazione di musica da camera; Arthur Jeffes infatti non trascura di dare risalto alla presenza di strumenti, quali il tradizionale violino, ma in questo disco lascia che esso venga accompagnato da altri strumenti a corda e soprattutto dal pianoforte.
Così assistiamo ad uno scivolìo setoso nelle profondità dei suoni proposti in alcune tracce come in Protection, dove un atmosfera celtica fa da sfondo al lento incedere del violino e sembra quasi di vedere una danza di contatto tra i due strumenti che si liberano nell’esplorazione dello spazio circostante. Diverse le sensazioni che si avvertono con l’ascolto di Control 1 (Interlude) dove un piano asseconda uno stato di continua sospensione lasciando intravedere l’immagine di un corpo in fluttuazione e ciò che ne deriva è un ascolto senza gravità, nell’abbandono totale dei sensi. La condizione di suspense si avverte anche in Cantorum dove ancora una volta piano e violino interagiscono in un perfetto movimento sincronico che non conosce soluzione di continuità e che diventa un crescendo di tensione sul finale. Il suono di un campanello invece, scandisce il ritmo di Half Certainty dall’inizio alla fine e fa da cornice ad una melodia nostalgica in pieno stile Penguin cafè Orchestra.
Jeffes figlio non trascura poi di inserire tra i suoi inediti anche una cover del padre, dedicandogli un riarrangiamento di Now Nothing dove però lascia che sia il pianoforte ad impadronirsi completamente della scena “tradendo” la versione originale in cui quest’ultimo veniva accompagnato dal canto del violino. Il tentativo di dare risalto all’aspetto acustico dell’album diventa per Jeffes necessario quasi strumentale all’intenzione di custodire la storia musicale della Penguin Orchestra pur traslando quest’ultima in un contesto che potesse “risultare familiare agli ascoltatori di registrazioni dance” come l’autore stesso sostiene. Tale compromesso potrebbe essere letto da taluni come un tentativo più o meno riuscito di “salvare capre e cavoli” inserendo l’intera produzione nel solco tracciato dall’ensemble in quasi 30 anni di storia; al contempo però potrebbe risultare ben accetto, ad altri, il tentativo di mettere il potenziale creativo di un gruppo storico al passo coi tempi senza lasciare che l’identità di quest’ultimo venga a eclissarsi dietro i suoni sintetici e artificiosi dell’età contemporanea.
Nel primo caso comunque, il titolo dell’album The Imperfect Sea fornirebbe un salvacondotto se consideriamo quanto dichiarato da Jeffes stesso ovvero che il nome del disco nasce da una espressione che il padre stesso soleva ripetere – “siamo composti da un mare di imperfezioni”. È chiaro che una massima di questo tipo, sdogana tutta la libertà creativa nel dare forma a commistioni, revisioni e sperimentazioni in uno spazio inesplorato e incerto come può essere quello del pinguino in copertina che si ritrova in un deserto, luogo ad esso poco consono, ma che non gli impedisce di stare in piedi impettito in tutta la sua fierezza.