Goran Bregovic @ Teatro Degli Arcimboldi – Milano
“Forse un giorno il mondo sarà come un grande spartito dove le note basse e quelle alte potranno stare insieme sullo stesso pentagramma. (…) In quanto compositore, mi sento privilegiato a poter favorire certi incontri”.
È il quartetto d’archi composto da tre violini ed un violoncello ad introdurre, alle 21:05, il concerto del musicista e compositore bosniaco Goran Bregovic tenutosi il 6 febbraio presso il teatro degli Arcimboldi in Milano. Sono però le succitate parole dello stesso autore ad esplicitare il senso pieno dello spettacolo che è parte di un tour nato intorno all’ultimo disco Three letters from Sarajevo, un lavoro dedicato al tema della diversità culturale e della coesistenza pacifica, aspetti tutt’oggi non scontati nella Sarajevo di Bregovic dalle molteplici identità etnico-religiose e passata per una delle più assurde guerre dell’età contemporanea.
Era quindi inevitabile che la musica del compositore bosniaco risentisse di tutta la ricchezza delle influenze derivanti dall’esplorazione di generi diversi, cui egli si affaccia senza timore di svilire la propria identità. Ricca è anche la presenza di musicisti che lo accompagna sul palco: 19 elementi divisi tra orchestra sinfonica e la storica Wedding and Funeral Orchestra… e quando gli archi cedono la parola ai fiati (che a loro volta sorprendono il pubblico suonando anche dalla platea) si scorge l’ingresso sul palco di Bregovic accompagnato dal musicista che lo fiancheggerà con la grancassa a centro scena.
I primi pezzi sono quelli tratti dall’ultimo album, alcuni evocano un’ atmosfera al confine con la musica sacra e sono eseguiti da un sestetto di voci maschili posti alla sinistra del palco: tre tenori, un baritono e due bassi; le voci femminili sono invece rappresentate da due brave cantanti che vestono i costumi della tradizione bulgara. Si fa quindi un piccolo passo indietro nel repertorio del musicista con l’esecuzione di un vecchio brano composto per la colonna sonora del film “Regina Margot”, cui seguono pezzi creati per i film di Emir Kusturica, poi il musicista chiede al pubblico di intervenire accompagnandolo nell’esecuzione di alcuni brani, così spalti e platea si lasciano coinvolgere con entusiasmo, assecondando il ritmo con le mani o cantando insieme all’autore.
Questi riesce quindi ad assemblare in un solo concerto pezzi di musica da camera con il ritmo del funky, del jazz e della tradizione balcanica, dove per balcanico intendiamo un insieme di generi appartenenti ora al folklore gitano, ora al particolare modo di suonare il violino alla maniera orientale – “come lo suonano i musulmani dell’est” – (per dirla con le parole dello stesso musicista). Non è un caso infatti che il nuovo disco del musicista serbo si intitoli “Three letters from Sarajevo”, esso richiama appunto i tre differenti modi di suonare il violino: “alla maniera occidentale, come lo suonano i cristiani, Klezmer secondo la tradizione ebraica e infine, all’orientale”. Il Goran dei primi tempi fatto di fiati, violini e lamenti gitani è quindi lo stesso che ritroviamo oggi, investito però da numerose contaminazioni di genere; lo dimostra il fatto che nella scaletta del concerto c’è un pezzo che ha la stessa scansione ritmica della pizzica salentina che Bregovic ha pur conosciuto quando nel 2012 è stato chiamato a dirigere il grande concerto della “Notte della Taranta”.
A pezzi di questo genere si affiancano altri simili a requiem, poi il nuovo cede il passo alla tradizione con brani che hanno fatto il successo dell’artista all’inizio degli anni duemila. E quindi via con Gas,gas,gas – Mesecina– In the death car, più lunga è invece l’attesa per Kalasnikov che quando arriva, però, fa ballare il pubblico pur restando seduto sulle poltrone, mentre i più fortunati sono all’impiedi davanti al palco. Infine l’omaggio all’Italia con un accorato Bella Ciao mentre l’orchestra si avvia verso quella che dopo due ore e trenta circa, sembra essere la fine del concerto. Arrivano dei fiori dalla platea, Goran li accoglie entusiasta e si rimette a sedere, come a voler ricambiare il gesto con altri venti minuti di spettacolo, tanto che pare non abbia voglia di andar via ma piuttosto di trattenere gli ascoltatori come in una serata tra amici. L’ultimo pezzo del concerto è la gentile concessione di un brano inedito, non ancora registrato, che tiene tutti con la schiena dritta, rapiti da una continua tensione ricreata dai flauti di due dei tre musicisti che compongono la band gitana di fiati. Il commiato arriva su un lungo scroscio di applausi da parte di un pubblico entusiasta di aver preso parte ad un vero e proprio spettacolo musicale. Fuori dal teatro piove da ore ma il mal tempo pare proprio non sia riuscito a fermare il pubblico di ascoltatori che ha fatto registrare il tutto esaurito per la tappa milanese del tour del musicista di Sarajevo.
Nella stessa serata, in un altro teatro d’italia, si celebra il tradizionale Festival della Canzone italiana, ed è curioso notare come la tradizione in questo caso la faccia la cornice patinata dello show costruito intorno a quelle che si vorrebbe fossero sempre delle valide proposte musicali ma che purtroppo non sempre lo sono . Musicisti come Goran Bregovic invece ci insegnano che la musica non ha bisogno di tanto, essa basta a se stessa quando nasce dalla ricerca, dal recupero della tradizione e dalla libertà delle sperimentazioni. È lingua, è cultura, è comunicazione e si chiama arte.