Femminismo, umorismo, denuncia: il tris vincente di Iris Basilicata in prima assoluta con “Candy – memorie di una lavatrice”
Debutta al Teatro Lo Spazio a Roma, da martedì 3 a giovedì 5 maggio, Candy – Memorie di una lavatrice di e con Iris Basilicata, definito dall’autrice e interprete uno spettacolo «schifosamente tratto da storie vere e mai lavate». Lo spettacolo ha vinto il bando “IDEE NELLO SPAZIO” 2020, promosso dal Teatro in cui viene presentato in prima assoluta, e prima ancora, con questo testo Iris Basilicata aveva vinto l’importante premio Giovani Realtà del Teatro per la sezione monologhi. Iris, diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” in Drammaturgia, qui interpreta una lavatrice classe A++ dalle fattezze umane di nome Candy, che studia per diventare la miglior lavatrice d’Italia e la cui vita viene sconvolta dall’arrivo di Elena, giovane immigrata rumena venuta in Italia con il sogno di una vita migliore. Una storia che parla di sfruttamento lavorativo e sessuale, di una schiavitù taciuta e poco indagata. E noi siamo qui il 1° maggio per raccontarvela. In occasione di questo debutto, abbiamo posto qualche domanda a Iris Basilicata.
La genesi del lavoro Candy – Memorie di una lavatrice nasce da un’inchiesta su un fatto realmente accaduto: una storia tutta al femminile sullo sfruttamento lavorativo e sessuale sullo sfondo apparentemente circoscritto della campagna ragusana. Lo spettacolo, dunque, parla di donne ma lo fa in modo universale, tracciandone varie tipologie e ritratti. Perché tra tante donne hai scelto di dare la parola proprio a Candy, un elettrodomestico, una lavatrice?
Mi piaceva l’idea che un oggetto inanimato potesse parlare. Candy filtra attraverso il suo occhio esterno gli orribili soprusi subiti da Elena Biru (nome di fantasia) e dei quali apparentemente sembra non coglierne la gravità. Candy parla di Elena come se fosse un vero e proprio oggetto elencandone prestazioni e qualità. Inoltre quando ho scritto il testo stavo leggendo No logo di Naomi Klein, in cui si parla del brand come di uno “stile di vita”, nella sua accezione negativa: sia Candy che Elena sono entrambe comprate per migliorare vite altrui.
Quali sono le tipologie di donne che prendono vita nello spettacolo e in cosa si accomunano?
Le donne sono tre e tutte diverse tra loro. Candy, lavatrice dalle fattezze umane, dolce, maldestra e determinata che studia per diventare la miglior lavatrice d’Italia, Elena Biru, una ragazza poco più che ventenne arrivata dalla Romania con il sogno di una vita migliore che finisce poi schiavizzata nei campi dal personaggio del Padre Padrone, e la moglie di quest’ultimo, la Kapò: una perfetta moglie asservita ed obbediente che è ben a conoscenza dei soprusi ai quali Elena viene sottoposta ma li accetta senza ribellarsi. Tutte e tre le donne corrono verso un proprio futuro di fortuna senza però mai raggiungerlo.
Ti riconosci in qualcuna di queste donne? Il lavoro ha qualcosa di autobiografico o la tua è una denuncia fine a se stessa?
Ho deciso volutamente di non mettere nulla di autobiografico perché le vicende di Elena Biru (nome di fantasia) meritavano ampio spazio. Per raccontare la sua storia ho letto e studiato le diverse testimonianze di braccianti schiavizzate, lo ricordo, sia nel lavoro che sessualmente, e di cui purtroppo si parla ancora molto poco. La storia di Elena racchiude quindi le tante testimonianze di cui ho letto. Non sono quindi partita da una indagine autobiografica ma come è inevitabile che sia poi ho scoperto un po’ di me in ognuno dei personaggi. Sicuramente il personaggio che mi somiglia di più è Candy, per il suo essere maldestra (eh eh eh!). Tutte e tre le donne del testo, inoltre, pensano di essere speciali e di esserlo per qualcuno, credono che la loro vita sarà fantastica e meravigliosa ma alla fine devono fare i conti con un’amara verità: essere solo una copia di qualcun altro.
Il monologo prende vita, oltre che dalla cronaca, dal libro Oro rosso di Stefania Prandi ma il testo, così come l’inchiesta, è solo una delle fonti che hanno ispirato il tuo spettacolo. Quali sono le altre e attraverso quale operazione sei riuscita a tradurle in teatro?
Nello stesso periodo in cui ho iniziato a prendere informazioni su questa vicenda ho scritto un racconto di fantasia che ci era stato assegnato come compito in accademia. Il racconto si chiamava proprio Candy, memorie di una lavatrice ed aveva come protagonista un elettrodomestico che decide di ribellarsi ai propri padroni di casa. Quando ho iniziato a scrivere, la storia di Elena l’immagine della lavatrice non mi lasciava in pace e così ho deciso di includerla. Ho poi messo insieme la vita di Candy a quella di tutte le donne sulle quali mi sono documentata.
Sei un’attrice e autrice diplomata in Drammaturgia all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”. In questo lavoro hai preferito dirigere/dirigerti o interpretare? Perchè?
Ho amato ogni momento di questo lavoro. È stato complesso dirigermi da sola perché ovviamente non avevo un occhio esterno pronto a dare consigli e accorgimenti però sono davvero contenta di come poi il monologo abbia preso vita. La parte che probabilmente ho preferito è stata quella attoriale perché è stato un bel banco di prova passare da un personaggio all’altro. Grazie a questi personaggi ho scoperto tante cose di me.