Fausto Paravidino // Il diario di Maria Pia
In scena fino al 25 gennaio al Teatro dell’Orologio di Roma, la toccante commedia di Fausto Paravidino ispirata alla vicenda reale della malattia terminale della madre
Tra le voci più autorevoli del nostro teatro oggi vi si annovera senza dubbio quella di Fausto Paravidino: drammaturgo, attore, regista piemontese, classe 1976.
Sono passati gli anni in cui lo si poteva definire una giovane promessa del teatro italiano e sono arrivati quelli in cui possiamo affermare che le promesse le ha mantenute. Del suo talento fuori dal comune in Italia come all’estero ci si è resi conto molto tempo fa.
Mi piace pensare che se fra cent’anni i teatri e l’amore per le lettere esisteranno ancora – e il suo genio avrà continuato a produrre mantenendo alta la qualità degli scritti – le nuove generazioni leggeranno e ameranno Fausto Paravidino come avranno fatto con Samuel Beckett, citato qui in modo niente affatto casuale, perché da lui molto amato e del cui studio si trova traccia un po’ ovunque all’interno della sua attuale produzione, intrisa di nichilismo e ironia.
Il diario di Maria Pia è una “commedia” nata da un’esperienza di vita reale, tutt’altro che comica: la malattia e la morte della madre, di professione medico. Una donna, Maria Pia, che l’anno precedente la scoperta del cancro aveva già esperito il dolore della perdita del marito Gianfranco, andatosene anche lui in brevissimo tempo.
Nello spettacolo avvertiamo fortemente l’evoluzione non tanto del dolore, quanto dell’angosciante cammino verso il “nulla”. Sotto i nostri occhi, infatti, cresce insieme al tumore la consapevolezza di una fine senza via d’uscita.
Assisa al centro dello spazio algido di una camera d’ospedale come una Madonna su un trono – o come il personaggio di Hamm in Finale di partita del sopracitato Beckett – Maria Pia, forse anche grazie all’esperienza conquistata attraverso la sua professione, diventa gradualmente una martire cosciente di ciò che le aspetta: il suo congedo dal mondo. Tra un sonno e l’altro a causa di sedativi che devono contenere le crisi epilettiche legate all’incedere della malattia, spossatezza e dolori, l’immagine della morte diventa assillante al punto tale da farle dire di essere disposta a consumare con le sue stesse mani l’inevitabile destino.
Paravidino sembra essere stato attratto dal potenziale drammaturgico della situazione che lo ha visto protagonista nella vita reale: familiare alla nostra epoca, eppure così straniante dal punto di vista individuale. Nel suo porgere allo spettatore una rielaborazione in chiave universale della vicenda personale dell’autore, il testo cerca di spiegare il fascino perverso della morte nel momento in cui il suo approssimarsi si palesa ineluttabile per se stessi: quali turbe psichiche si muovono nell’animo umano dopo aver preso atto della cruda verità?
Il racconto chiuso tra le pagine del diario di Maria Pia, composto con l’aiuto del figlio durante le ultime settimane di vita della donna, prese le mosse più o meno dal tentativo di rispondere a questa domanda; e la volontà di trasferirlo su un’altra dimensione per mezzo del medium teatrale sorse nell’autore allo scopo di provare a esorcizzare la paura verso uno dei più grandi tabù del mondo occidentale.
Proprio per questo motivo, non manca di sottolineare la banalità di certi stereotipi connessi alla situazione, dimostrando come le retoriche costruite intorno al tema della malattia inneschino facilmente modi di dire e di agire convertibili in atteggiamenti ironici da parte di chi non vive il dolore in prima persona. Nel corso della fulminea parentesi – che sembrava interminabile – della malattia di Maria Pia, la vediamo circondarsi dei suoi affetti più cari: uomini e donne pieni di sofferenza, ma dotati una tale familiarità con la gravità del contesto (acquisita in altri momenti della loro vita insieme) da far assumere loro comportamenti addirittura disdicevoli agli occhi dello spettatore, ma che sono più veri e comuni di quanto si immagini, sebbene con ipocrisia la nostra società mostri riluttanza ad ammetterli in pubblico.
Così, i due figli, il fratello, i medici, una compagna di stanza – con effetti ovviamente comici dovuti allo scarto tra ciò di cui si vuole illudere Maria Pia e la pesantezza dello stato reale delle cose – provano a dissuadere la donna dal pensiero sempre più ossessivo della morte attraverso la recita ognuno della sua parte, pur nella tragica consapevolezza della fine imminente che li unisce. In seguito all’espressione del desiderio di Maria Pia di suicidarsi, viene suggerito dai medici ai familiari di aiutarla a distogliere l’attenzione dal dolore facendole consegnare i suoi ultimi pensieri fuggevoli, i sogni infranti, le delusioni così come i ricordi lieti, a un diario – da cui poi è stato tratto questo spettacolo.
Toccante e ironico come pochi, Il diario di Maria Pia è un testo capace di far dimenticare allo spettatore di stare a teatro proprio per la nuda verità con cui gli si presenta. E grazie alla perfezione interpretativa degli attori, di colpo ci troviamo catapultati davanti alla realtà, comica e tragica allo stesso tempo come nelle più note tragedie shakespeariane. Come nella vita. Come, forse, anche nella morte.
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- Titolo originale: Il diario di Maria Pia