Ai Weiwei e il visto negato
C’è di tutto in questa nuova vicenda che riguarda Ai Weiwei, artista e attivista cinese che ha recentemente riottenuto il proprio passaporto dopo quattro anni e ha chiesto un visto di ingresso al governo britannico. La notizia è che gli è stato accordato solo per venti giorni e non sei mesi come aveva chiesto. Perché?
Formalmente il governo inglese ha segnalato all’artista che nella sua richiesta aveva omesso di aver ricevuto una “condanna criminale”, ovvero un periodo di detenzione nel 2011 di 81 giorni per il suo attivismo politico considerato ostile al governo cinese e la successiva multa di 2.400 milioni di dollari per evasione fiscale.
La motivazione ufficiale però per molti non regge perché Ai Weiwei in effetti non ha avuto un processo per il crimine di cui è stato accusato in Cina e dunque non c’è una sentenza di colpevolezza.
Qui entrano in gioco supposizioni e speculazioni sulla stampa internazionale: interessi politici ed economici tra Gran Bretagna e Cina, frutto di una politica di avvicinamento e consolidamento dei rapporti tra i due paesi sarebbe la vera causa che impedisce al Regno Unito di accogliere la richiesta.
Lo stupore dell’artista alla comunicazione che il suo visto era “restricted” ha lasciato presto il posto alla necessità di chiarire la vicenda sia con le autorità britanniche sia pubblicamente con un post sul suo account Instagram: “Ai, che non è mai stato multato o condannato per un crimine, ha tentato di chiarire la situazione con il Dipartimento per l’immigrazione inglese e l’ambasciata Britannica a Pechino, nel corso di numerose telefonate. Tali rappresentanti tuttavia hanno insistito sull’accuratezza delle loro fonti e hanno rifiutato di ammettere alcuna incomprensione”.
E così, incastrato tra burocrazia e politica, forse Ai Weiwei non potrà presenziare all’inaugurazione di una sua mostra alla Royal Academy of Arts a Londra che aprirà in settembre.
E la polemica infiamma.