Un secolo di #MarioBava: Così imparano a fare i cattivi
Dal 1914 al 2014: il centenario di Mario Bava festeggiato con una serie di focus / La nascita di un genere, la genesi dello slasher con il classico di enorme fortuna, Reazione a catena.
Un gruppo di persone dal numero limitato – il più delle volte ragazzi -, uno spazio chiuso ben circoscritto e un assassino mascherato deciso a torturarle ed ucciderle senza alcuna pietà. Questo schema narrativo, ormai arcinoto al pubblico di tutto il mondo, è l’intreccio classico di uno dei filoni dell’horror che più ha portato prestigio ed incassi al cinema americano: lo slasher. Non tutti sanno, però, che la nascita di tale genere non va attribuita ad autori d’oltreoceano bensì al genio di Mario Bava che nel 1972 con Reazione a catena ne detta gli elementi cardine che anni dopo verranno infarciti di ingredienti più spettacolari ed attraenti per puri fini commerciali.
Su tutti va sottolineata una particolare attenzione alla caratterizzazione estetica del killer e una cura maniacale della realizzazione dei delitti a discapito di una scrittura che con il passare del tempo è divenuta sempre più piatta e stereotipata. Ha così inizio una lunga lista di fortunate serie slasher i cui titoli più importanti sono senza dubbio Halloween, Scream, Nightmare e Venerdì 13, con quest’ultimo che trae più di qualche ispirazione dal modello baviano.
Reazione a catena ha una gestazione alquanto lunga e laboriosa. Bava parte da un soggetto scritto dal giovane Dardano Sacchetti (figura importantissima del cinema di genere italiano per via delle sue numerose collaborazioni con autori del calibro di Fulci, Deodato, Margheriti e tanti altri), in coppia con Franco Barberi, dal titolo Così imparano a fare i cattivi. Quest’ultima è anche la battuta con la quale si concludeva la prima versione del film, intitolata Ecologia del delitto, dopo che i due figli uccidono i propri genitori, mentre nella versione definitiva la frase pronunciata è “Come giocano bene a fare i morti”.
Con ogni probabilità la prima battuta sarebbe stata più adeguata per incarnare lo spirito di un’opera che non va vista soltanto come una serie di omicidi efferati, bensì va inquadrata all’interno dell’ottica del regista di voler criticare una società consumistica, viziata e ben lontana dai valori rivoluzionari del sessantotto. I personaggi presentati da Bava sono paragonati agli insetti che sono spesso ripresi in primissimo piano e le loro psicologie sono tratteggiate ai minimi termini con la loro pulsione a compiere delitti per far valere i propri interessi come unico elemento messo in evidenza.
Ne consegue così un intreccio giocato per gran parte sulla rappresentazione della morte e di assassinii che per la prima volta assumono una vena fortemente splatter, con il regista che si focalizza sugli ultimi attimi di vita delle vittime. È esemplificativa, in tal senso, l’immagine, ripresa a piena mani da Sean S. Cunningham nel suo Venerdì 13, dei due giovani infilzati da una lancia durante l’atto sessuale con la ragazza che sembra raggiungere l’orgasmo anche dopo il colpo ricevuto.
Dal punto vista tecnico Bava esaspera l’utilizzo dello zoom e delle immagini fuori-fuoco che sono legate alla natura delle cose e delle persone, sospese tra visibilità ed invisibilità, e alla trasformazione degli elementi scenici come accade ad un’inquadratura del sole che in pochi attimi si trasforma in un occhio che spia. Lo sguardo, appunto, è un’altra componente essenziale del film e la scena prevede sempre un occhio, un binocolo che sorveglia, controlla gli altri personaggi prima di dar inizio alla carneficina. Il tratto stilistico più importante ed influente per tali fini è la oggettiva che in questo caso l’autore sanremese trasforma in uno strumento voyeuristico.
Se lo slasher ha trovato terreno fertile oltreoceano con autori di rilievo come Wes Craven e John Carpenter, stesso discorso non può essere fatto per i registi nostrani che hanno continuato a preferire la tradizione del giallo all’italiano o dedicarsi a pellicole dalle tinte sempre più estreme sia come contenuti che come impatto visivo. Una delle poche eccezioni è rappresentata da Il camping del terrore di Ruggero Deodato, un buon slasher i cui punti di forza sono la cura per la messa in scena degli omicidi, influenzati dal successo di Venerdì 13, e la felice ambientazione delle montagne abruzzesi che ricreano le atmosfere da teen movies americani.
Altro titolo da ricordare è La casa 3 di Umberto Lenzi, primo dei sequel apocrifi del capolavoro di Sam Raimi prodotti dalla Filmrage di Aristide Massaccesi (nome di battesimo di Joe D’amato), in cui le dinamiche degli slasher movie si fondonocon il tema della casa posseduta e con alcuni elementi tipici del thriller di stampo argentiano, in particolare l’inquietante nenia infantile della bambina fantasma.
I precedenti articoli della serie Un secolo di #MarioBava: La strada per il Far West / Un impermeabile per l’assassino / La maschera del gotico / Il peplum e la fotografia.