Wolverine – L’immortale
Hugh Jackman torna per la sesta volta ad indossare gli artigli di Wolverine in un secondo spin-off, diretto da un fallimentare James Mangold.
C’è un abisso. Un vuoto che si sta espandendo. Un canyon fatto di organizzazione, studio, strutturazione, capacità creativa e lungimiranza che difficilmente potrà colmarsi col passare del tempo. E questo preoccupa non poco gli appassionati dei cinecomic.
Il problema risiede (come sempre in questi particolari casi) nella scottante questione dei diritti d’immagine. Da un lato abbiamo i due colossal Marvel/Disney e DC/Warner Bros, dall’altro la Fox, detentrice dei diritti su tutti i personaggi della saga X-Men. Finché tale questione rimarrà insoluta, non solo sarà impossibile avere un crossover con gli altri personaggi come Hulk o Iron Man, ma gli X-Men (e con essi il loro personaggio simbolo, Wolverine), già rovinati da sequel, prequel e spin-off improponibili, scadranno sempre più nella mediocrità cinematografica, perdendo anche quei pochi affezionati che ancora sperano.
Fatta questa premessa, veniamo a Wolverine – L’immortale, il disastro di James Mangold, un bravo artigiano più che un talentuoso regista, come dimostra il godibile e nient’altro, Innocenti Bugie.
Wolverine (per la sesta volta Hugh Jackman), al secolo Logan, reduce dalla perdita dell’amata Jean (X-Men – Conflitto finale), che lui stesso ha dovuto uccidere, è tormentato. Smesse le vesti dell’ X-Man, decide di vivere una vita a stretto contatto con la natura per ritrovare la pace. Un uomo venuto dal passato, un ex soldato nipponico che lo stesso Logan aveva salvato durante la seconda guerra mondiale, gli offre il suo aiuto con promesse di mortalità, di una vita finalmente normale. L’inganno, però, è dietro l’angolo.
Nonostante sia tratta dalla miniserie a fumetti di Chris Claremont e Frank Miller, Wolverine, la pellicola di Mangold è semplicemente due ore di noia assoluta, in cui l’azione è senza pathos, il romance è timido e il filo narrativo rende esausti. La volontà era quella di allontanarsi dai precedenti lavori, in primis la chiusura della trilogia degli X-Men e lo spin-off X-Men le origini: Wolverine, per creare un film dal tono cupo e introspettivo, in cui il protagonista intraprendesse un viaggio interiore alla scoperta del significato della propria esistenza. Un po’ sulla falsa riga della lezione noliana de Il cavaliere oscuro. Inutile dire che il tentativo porta ad un’inevitabile stroncatura.
Mangold copia e lo fa male, e la scarsa originalità, la mancanza della verve ironica del personaggio di Logan e la sovrabbondanza di arti marziali (in fondo siamo in Giappone, come potevano mancare) rendono spaesato Hugh Jackman (l’unico a cui sembra importare della sorte del suo Wolverine) e annoiati gli spettatori.
Dettagli
- Titolo originale: The Wolverine
- Regia: James Mangold
- Fotografia: Ross Emery
- Musiche: Marco Beltrami
- Cast: Hugh Jackman, Tao Okamoto, Rila Fukushima, Hiroyuki Sanada, Svetlana Khodchenkova, Hal Yamanouchi
- Sceneggiatura: Mark Bomback, Scott Frank