Arti Visive

L’EXPO delle polemiche. L’affaire Germano Celant

Gabriella Bologna

Non si placa la polemica sul compenso di 750.000 euro per il critico Germano Celant, incaricato di curare la mostra Food in Art all’EXPO 2015.

E’ iniziata già qualche settimana fa e non si è ancora placata la polemica sul compenso di 750.000 euro a Germano Celant per la curatela e la direzione artistica della mostra Food in Art all’EXPO 2015. La notizia è esplosa dopo la lettera del curatore Demetrio Paparoni indirizzata al Sindaco di Milano Pisapia e ai commissari dell’EXPO in cui si chiedevano spiegazioni sulla scelta di destinare al celebre critico una cifra così alta senza, neanche a dirlo, la pubblicazione di un bando.

Se nessuno discute sul prestigio e l’esperienza del critico, sono invece tante le argomentazioni contro il suo compenso formulate nei giorni scorsi sulla stampa: i soldi per la cultura in Italia sono sempre meno, il curatore della Biennale di Venezia prende 120.000 euro, non c’è stata trasparenza sulle motivazioni del cachet, quei soldi potevano essere spesi per interventi a lungo termine sul patrimonio culturale italiano piuttosto che per una mostra di pochi mesi.

Mentre Celant rimane in silenzio, è Giuseppe Sala, commissario unico dell’EXPO, a dare spiegazioni: «Non siamo un museo che prende un curatore, non abbiamo nulla. Avevamo un’idea di padiglione e Celant ha fatto lavorare, per 2 anni, 5 persone, a 40.000 euro all’anno», ha affermato.  «Il vero compenso di Celant sarà inferiore a 150.000 euro», «non vedo l’ora di annunciare che avremo uni sponsor milionario, su quel padiglione, perché il progetto è buono e abbiamo Celant» riporta il Corriere della Sera.

L’ultimo intervento sul caso Celant è di Francesco Bonami, che con la sua consueta vena pungente paragona il compenso del critico a quello di archistar come Frank Gehry e Zaha Hadid, su cui non si discute o quasi, oppure quello –siamo ancora in tema di mondiali di calcio- di Prandelli, allenatore della nazionale. Se nessuno si scandalizza di questi, perché, si domanda Bonami, farlo di Celant? Dovrebbe essere criticato, invece, il budget della mostra curata dal critico: sei milioni di euro, una cifra troppo alta per un evento di sei mesi, che sarebbe stata investita meglio nella città.

Al di là delle polemiche sul caso specifico, la sensazione è sempre la stessa: viviamo in un paese in cui pochi hanno in mano un’enorme potere e disponibilità economica, usata molto più spesso per grandi eventi che per necessari interventi di salvaguardia del patrimonio culturale e riqualificazione urbana.



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