Vetrina. “Fiaba d’amore”
Un racconto di disumana umanità, amore e solitudine, impresso su carta da Antonio Moresco.
Ci vuole tempo per raccontare, e ci vuole tempo per capire i racconti. Soprattutto racconti come Fiaba d’amore di Antonio Moresco. Dall’autore de La lucina, d’altronde, non poteva che arrivare un che di così luminoso da risultare abbacinante: una favola contemporanea che, parafrasando un testo di Niccolò Fabi, “si sporca le mani col fango” e, per aspera ad astra, giunge fino alle stelle.
È la storia di uno straccione, un “vecchio pazzo” il cui nome si scopre poi essere Antonio, che un bel giorno viene gentilmente strappato al suo letto di strada da “una meravigliosa ragazza”. Anche qui, come nelle narrazioni classiche, la ripetizione dell’epiteto costruisce l’identità personale al posto del nome, conferendogli lo statuto di epica dell’intimità. La lei del racconto, che in realtà si chiama Rosa, è una creatura angelica contrapposta all’umano troppo umano del ‘lui’ Antonio; un essere umano fatato che, planando sulla scia magica del caso, presta soccorso all’indicibile, al dolore tenuto nascosto perché obbrobrioso ma che resta parte integrante dell’umanità, fatta, anche e forse soprattutto, di umori, fetori e ferite.
Moresco, evocativo nel ritrarre il paesaggio, rimane più che descrittivo nella rappresentazione delle debolezze, fisiche e interiori, dei suoi personaggi: non fa sconti sui dettagli, gigantescamente fastidiosi, portando alla mente l’essere umano inteso come processo, così spogliato nel suo divenire. Leggendo Fiaba d’amore tornano ad appartenerci le nuvole d’acqua diffuse dagli idranti sotto i porticati abitati dai senzatetto, le zaffate d’aria fetida, le sagome sghembe degli uomini-spettro fermi all’angolo della strada in attesa che tutto finisca. Ci è estraneo invece, ed è lì che si cela tutta la luce che il libro di Moresco ha da sprigionare, l’amore che nasce fra Antonio e Rosa, atto altissimo di assoluta devozione – lei che gli lava via dal corpo anni di accattonaggio, in una scena puramente sublime che mescola il disgusto alla commozione.
Ma la preziosa storia di Moresco ha ancora diversi salti nell’inaspettato da fare: la voce narrante interviene per preparare la sorpresa di un narrare teatrale, quasi monologante, vero e proprio trattato sulla solitudine cui sembra sempre di più che sia condannato un mondo malato d’inganno. Fitzgeraldiano, o anche kinghiano, nell’uso degli elementi magici – il piccione come il colibrì del primo e il Mr. Jingle del secondo – e con atmosfere sospese da città invisibili, Moresco propone la sua soluzione, il suo concetto assolutamente inedito di lieto fine, e un’esperienza di lettura a dir poco straordinaria.
- Genere: Romanzo breve