Maestri alla Reggia. Gianfranco Rosi: “Il cinema è il rapporto tra il vero e il falso”
Terzo appuntamento per l’evento Maestri alla Reggia, serie di incontri con i grandi nomi del cinema italiano. Il turno è del pluripremiato Gianfranco Rosi, regista di Sacro GRA e Fuocoammare.
“L’importante è cambiare il punto di vista del racconto”, lo ha detto Gianfranco Rosi e lo pensano di certo gli organizzatori di Maestri alla Reggia, giunti col vincitore del Leone d’Oro (Sacro GRA) e dell’Orso d’Oro (Fuocoammare) al loro terzo incontro coi grandi maestri del cinema italiano contemporaneo. Dopo aver parlato del cosiddetto cinema di finzione con Matteo Garrone e Gabriele Muccino (qui al link il resoconto) è giunto il momento di accendere la Cappella Palatina del Palazzo Reale di Caserta, dove la serie di appuntamenti ha luogo, coi colori del cinema del vero, come preferisce descriverlo Rosi, a cui la definizione di documentarista sta stretta: il cinema è il rapporto tra due parti, il vero e il falso, e lui si schiera con fermezza dalla parte della verità.
Si entra nella suggestiva cornice della Reggia con la consapevolezza di assistere a qualcosa di diverso, a uno sguardo sul mondo lontano dalle ambientazioni favolistiche di Garrone e dalle nevrosi dei personaggi di Muccino, una differenza percepita nell’aria e nel numero di sedie vuote: l’età media del pubblico sale e nessuno in piedi forma una linea di confine ai margini dei posti a sedere come accadde col regista de La ricerca della felicità. Chi ha salito le scale del Palazzo erano cinefili, una fetta della cittadinanza attiva nel creare e partecipare alle iniziative culturali – anche nei loro momenti meno blasonati – e membri delle associazioni in relazioni col popolo di migranti residenti nella provincia di Caserta.
Comincia proprio con loro l’incontro, con l’associazione Yiki Pinda Rawelgue (“Non vi dividete” in lingua moorè) che schiera alcuni dei suoi membri per un piccolo ma intenso concerto per percussioni con musiche dal Burkina Faso, segnando sin dal primo momento quale sarà il tema centrale della serata: Fuocoammare, il suo ultimo documentario. A tenere l’intervista è Alessandra De Luca, firma illustre di Ciak Magazine, tra i promotori e partecipanti a Maestri alla Reggia che, lo ricordiamo, è stato ideato dalla Seconda Università di Napoli col progetto SunCreaCultura, e subito la discussione verte su binari critici e politici, senza mancare di tracciare un percorso biografico all’interno della carriera di Gianfranco Rosi.
La prima domanda, accesa dalla forza dei grandi premi ricevuti dal regista, parte subito col piede di guerra e cerca di trarre fuori una precisa visione del cinema, sia da un punto di vista soggettivo che oggettivo: il successo dei suoi lavori è forse il segnale d’un bisogno di vedere la realtà con occhio artistico? La risposta è positiva, ovviamente, ma per Rosi è necessario porre subito dei paletti e rivelare la sua natura di osservatore: a lui della realtà interessa innanzitutto raccontare i luoghi, creare un rapporto con essi e solo dopo aprirsi ai personaggi in relazione con questi ultimi. Le riprese nei suoi film inizieranno solo quando si sarà formata la giusta atmosfera di intimità, parola chiave della serata, ma non l’unica in assoluto.
Struttura, trasformazione e sottrazione sono le parole chiave esplicitate da Rosi, le sue tre leggi primarie a cui tenere fede nella realizzazione di un documentario, sin dai tempi di Boatman. Fondamentale (anche questa parola ribadita spesso e volentieri, lasciando trasparire la natura dogmatica del suo fare cinema) il lavoro di introduzione nel mondo da sottomettere al suo viewfinder, la stesura di una struttura e la ricerca della trasformazione di se stesso, dei luoghi e dei suoi protagonisti, per arrivare poi a sottrarre, sia in fase di produzione che post-produzione. In riferimento a questa ha deciso di lanciare anche una frecciata in favore del suo collaboratore Jacopo Quadri, montatore immeritatamente non premiato – a sua detta – dai David di Donatello.
Così tra una clip e l’altra di Fuocoammare e una miriade di inviti ad acquistare il cofanetto Feltrinelli in cui sono raccolti Boatman, Below Sea Level e El Sicario – Room 164 è stato possibile notare quanto del suo lavoro gli sta più a cuore. Di tutto il suo cinema El Sicario sembra essere il numero uno, un’esperienza forte in cui lui, abituato a una lenta presa di potere su luoghi e persone, è stato travolto dai racconti di un Sicario pentito di uno dei più potenti Cartelli della droga in Messico, abbandonato all’incertezza e al desiderio di far di questa storia un’immersione totale in un bacino di verità per lo spettatore. Ma gli aneddoti su Boatman e le poche parole spese per Below Sea Level e, qualcosina in più, Sacro GRA, sono stati sommersi da Fuocoammare.
Il rapporto col piccolo Samuele, le sue convinzioni politiche e il rapporto con le istituzioni – è noto come Matteo Renzi abbia regalato 27 copie del film agli alti rappresentanti europei durante un incontro sul tema dell’immigrazione -, la gioia nell’aver ottenuto la distribuzione in 64 paesi in tutto il mondo. Il film è stato sviscerato, Fuocoammare svelato senza pudore davanti al pubblico di Maestri alla Reggia, oggi suo compagno di vita. Solo venerdì 15 è stato a Lampedusa per la prima proiezione, accolta con gioia e con tanto di Rosi proclamato cittadino onorario dell’isola, lunedì 18 nei suoi pensieri con le molte candidature ai David di Donatello, il 20 a Caserta per l’incontro, sabato 23 in udienza da Papa Francesco insieme ai protagonisti del film e, infine (per quanto ne sappiamo), il 27 Aprile a Bruxelles per guardare il film coi parlamentari europei. Con la speranza, sua e nostra, che qualcosa si smuova nel nostro freddo continente.
Tuttavia l’incontro è stato segnato anche da un lento stillicidio, con fette di pubblico in progressiva uscita dalla sala a ricordarci che forse ancora non c’è un grande numero di persone a seguire questo genere di cinema. Sotto questa ottica appare come un segno la presenza di un uomo, a giudicare dal badge al collo parte dello staff, armato di smartphone a fotografare l’evento dalla parte alta del corridoio centrale, con indosso una giacca bianca e blu con su scritto Hollywood a caratteri cubitali. Lì davanti, a nascondere intervistatrice e intervistato e il sound e il ballo dal Burkina Faso, sembrava voler ricordare a tutti qual è ancora oggi il modello imperante di cinema nell’immaginario contemporaneo. Hollywood è con noi e ci dà le spalle.