Cinema

Un secolo di #MarioBava: La stagione degli esorcismi

Vincenzo De Divitiis

Dal 1914 al 2014: il centenario di Mario Bava festeggiato con una serie di focus / Il diavolo, le possessioni e le gravidanze sataniche affliggono la tarda filmografia del regista sanremese.

Il 1972 è un anno importante per la carriera, ormai in fase calante, di Mario Bava grazie all’inizio della collaborazione con l’emergente produttore Alfred Leone. Il sodalizio fra i due porterà prima alla realizzazione dello sbiadito tardo gotico Gli orrori del castello di Norimberga, e poi nel ’73 a quella di un’altra opera significativa come Lisa e il diavolo. Quest’ultima rappresenta un’occasione per il regista sanremese di cimentarsi con il genere demoniaco, ma con dinamiche e un approccio stilistico del tutto differenti ed inusuali a quelli a cui siamo abituati noi spettatori degli anni duemila.

L’intento di Bava, infatti, è quello di mettere in piedi un intreccio denso di simbolismo nel quale il demonio non è mai visibile sulla scena ma è presente in ognuno dei personaggi che, paragonati anche in questo caso a dei manichini, appaiono alla stregua di burattini nelle sue mani. Di qui ne scaturisce una serie di efferati omicidi che lasciano intendere come l’esperienza di Reazione a catena non sia stata del tutto messa da parte dall’autore. Il resto deriva da una particolare ed inusuale attenzione per la costruzione di una trama originale in cui viene sfruttata la tematica dei morti che rivivono la propria vita attraverso mirabili flashback, come già avvenuto in Danza macabra di Antonio Margheriti . Un altro punto di forza risiede nella più che indovinata scelta del cast in cui, oltre alla bravissima attrice svedese Elke Sommer nei panni di Lisa, spicca un Terry Savalas magistrale nella sua interpretazione di un mefistofelico maggiordomo che altri non è che il diavolo.

Dal punto vista stilistico la prova del nostro autore non è del tutto brillante dal momento che si alternano piacevoli autocitazioni e un uso al limite del fastidio dei tratti tipici del suo cinema quali lo zoom, movimenti repentini di macchina e immagini fuori-fuoco. Eccessi ampiamente riscattati da un finale che rappresenta la scena simbolo del film che vede la Sommer percorrere un aereo senza fine e con i cadaveri al posto dei passeggeri quasi a simboleggiare l’ultimo viaggio verso gli inferi.

Nonostante il suo indubbio valore artistico, il film non ottiene il successo sperato al botteghino e per questo motivo il produttore Leone decise di aggiungere alcune scene che lo rendessero più spettacolare ed in linea con i gusti del pubblico, rimasto colpito dal capolavoro di William Friedklin, L’esorcista, uscito nelle sale americane nel dicembre del ’73. Le sequenze originarie del film vengono inframmezzate da altre il cui stile è molto vicino al modello statunitense con contorsioni, turpiloquio e provocazioni nei confronti del prete, scene di nudo e la classica contrapposizione tra scienza e religione. Il risultato è un film, intitolato La casa dell’esorcismo, anonimo e stravolto rispetto al precedente sia dal punto di vista registico che narrativo,cosa che mandò su tutte le furie Bava.

Lisa e il diavolo è solo uno dei tanti titoli a sfondo esorcistico che negli anni Settanta hanno imperversato nella scena cinematografica italiana. Il più influente è senza dubbio L’anticristo di Alberto De Martino che ha il grande merito di ambientare la vicenda con protagonista una donna costretta alla sedia a rotelle nelle sfarzose stanze di una villa aristocratica e negli esterni di una Roma ripresa nei suoi lati più suggestivi e spettacolari. È memorabile, in tal senso, la sequenza finale in cui Carla Gravina viene liberata dal demonio dopo una fuga all’interno del Colosseo. La pellicola, arricchita dai trucchi di Carlo Rambaldi, propone anche leggere sfumature di erotismo che diverranno l’ingrediente primario di altri film come L’ossessa di Mario Gariazzo e Diabolicamente Letizia di Salvatore Bugnatelli.

Meritevole di citazione è Chi sei? di O. Hellman (pseudonimo di Ovidio Assonitis, qui anche in veste di produttore) e R. Barrett, nel cui cast spicca Gabriele Lavia, nel quale viene affrontato il sotto filone della gravidanza demoniaca che fornisce lo spunto per generare situazione ricche di tensione e pathos. Discorso a parte merita Amityville Possession di Damiano Damiani che offre un’ulteriore variante sul tema con il soggetto posseduto che non è una donna giovane tormentata dal demonio, bensì un ragazzo in preda a pulsioni adolescenziali e in pieno contrasto con la famiglia, in particolare col padre. Proprio in questo animo ribelle va ad inserirsi un demone che lo spinge a compiere un massacro domestico.

I precedenti articoli della serie Un secolo di #MarioBava: Così imparano a fare i cattivi / La strada per il Far West / Un impermeabile per l’assassino / La maschera del gotico / Il peplum e la fotografia



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