19′ 40” – Il Picchio
Proviamo ad immaginare la più pioneristica e velleitaria frontiera della sperimentazione musicale; proviamo ad accorparla a quel sottogenere d’avanguardia che i musicofili definiscono “zoomusicologia” (letteralmente: lo studio della musica del mondo animale). Otteniamo Il Picchio, progetto musicale di Sebastiano De Gennaro, percussionista brianzolo ante litteram, dedito alla musica digitale e all’uso dei più disparati strumenti (xilofoni, vibrafoni, vecchi tamburi) e di Enrico Gabrielli, acclarato polistrumentista, collaboratore di artisti nostrani indie (e meno indie!) quali Mariposa, Marco Parente, Zen Circus, One Dimensional Man, Baustelle, Morgan, ma anche di levatura internazionale (PJ Harvey). I due sono, tra le altre cose, cofondatori insieme a Francesco Fusaro, musicologo trapiantato a Londra e giornalista di Rockit, dell’etichetta discografica 19’ 40’’, un’idea simbolo nata da un vinile realizzato da De Gennaro e Gabrielli molti anni fa, contenente pezzi del 1940 e che, di rimando, rappresenta un tempo della musica ben preciso (in tempi in cui l’ascolto della stessa avviene in modo sempre più sommario e grossolano).
Il Picchio è un concentrato di distorsioni musicali modulate innanzitutto sui suoni primordiali del circostante (partendo dai rumori prodotti dal suddetto uccello) che si riversano sulla quotidianità odierna: ne deriva un linguaggio musicale complesso e suggestivo, in cui la produzione dei rumori emessi dal picchio cambia a seconda della “materia” che l’animale becca (legno, metallo, pietra). La percussione viene infine riletta in chiave elettronica. Da quest’idea bizzarra nascono cinque composizioni per percussione sola ed elettronica di compositori contemporanei (Louis Andriessen, Edmund Campion, David Lang, Nicolay Popov, Enrico Gabrielli) che assommano il primordiale al digitale: Woodpecker, la prima traccia, è volutamente cacofonica e fastidiosa, fedele ai rumori prodotti dal picchio e la più vicina a un precedente progetto di De Gennaro (All My Robots, 2015) e al suo interesse per l’ornitologia; la seconda traccia, Losing Touch (di Edmund Campion), è interamente modulata sull’uso di un vibrafono e si ascolta con meno ritrosia rispetto alla composizione di Andriessen; l’enigmatica Unchained Melody è costruita sul suono di un glockenspiel (metallofono a percussione); Coppia di allotropi, realizzata da Enrico Gabrielli, gioca sulla versatilità di xilofoni (balafon africani), vibrafoni e drum pad; infine Artra: la chiusa magistrale del russo Nicolay Popov.
L’amalgama di arrangiamenti di maniera rende quella di De Gennaro un’opera ricercata, per quanto appaia a tratti di nicchia e autoreferenziale. Tuttavia l’idea che il primordiale (Il Picchio docet) impatti con il progressismo genera “mondi lontanissimi”, per dirla alla Battiato. Se non altro: se abbiamo idolatrato il Futurismo di Marinetti e Boccioni, perché mai dovremmo rinunciare all’esplorazione di territori così impervi?