“White Rabbit, Red Rabbit”: Giuliana Musso alla presenza dei conigli di Nassim Soleimanpour
Venerdì 9 novembre, Giuliana Musso ha accettato la sfida lanciata nel 2010 dall’iraniano Nassim Soleimanpour e nella cornice del Teatro Laura Betti di Casalecchio di Reno ha provato a rispondere a una prima fondamentale domanda, carica di tanta più fremente attesa quanto più le parole lontane dell’autore sono, e sono destinate a restare, avvolte dalla lontananza misteriosa di un invito al silenzio: White Rabbit, Red Rabbit, perché questo titolo?
Negli anni lo spettacolo è stato portato sui palcoscenici d’Italia da svariati attori (si possono citare a mo’ di esempio Daria Deflorian, Emma Dante, Lella Costa, Enrico Ianniello, ma sono solo alcuni fra molti altri nomi), e sulla particolarità di questa delicata provocazione scenica esiste già tanta letteratura; ma repetita iuvant, non fosse altro che per aggiungere un ulteriore mattone a una costruzione che stuzzica, in quanto si nega e si sottrae con un ghigno dalle grinfie della divulgazione mediatica, in favore di una confidenzialità libera da ogni egemonia comunicativa, più umana e simile a quei segreti che ci si racconta nel corridoio. Quelle poche informazioni che si possono dare, quindi, è bene che le si diano. Nassim Soleimanpour scrive questo testo nel 2010 in un momento di impossibilità a lasciare il suo paese. La sua casa era a Persepolis, la sua mail è nota, così come il suo invito a scrivergli e a mandargli foto delle repliche di uno spettacolo a cui, lui autore, non assisterà mai. Il testo vive in una busta sigillata, a nessuno degli interpreti è consentito sapere in anticipo di cosa tratti lo spettacolo – e a chi avesse curiosità in proposito, si dica che, necessariamente, a ciascuno viene anche richiesto di non averne mai neanche assistito a una messa in scena pregressa. Agli operatori e alla stampa si chiede discrezione e rinuncia al racconto contenutistico. Ci si muove con onestà dichiarata nel campo dell’assenza. Nessuna sinossi nel programma della stagione. Eppure, nonostante questi elementi, l’attesa si fa curiosa e pura, densa di un’adrenalina che cresce man mano.
Fare tesoro dei dettagli, come per esempio della consapevolezza di quanti siamo e con chi siamo, diventa essenziale. Sono questi a costruire quella narrazione che prende come oggetto l’irraccontabile e riporta in parole una cornice il cui quadro inscritto, si dirà “per fortuna”, resta esperienza privata, potentissima. Che proprio per questo sopravvivrà fuori dal teatro, fuori dal testo e dai confini della critica, fuori in ogni senso possibile. In fondo anche il pubblico ha accettato una sfida.
Serviva l’energica verve della maschera comica di Giuliana Musso a vivificare e a far arrivare dritte dentro allo stomaco le parole di Nassim Soleimanpour, e a farlo con una grazia ironica in cui ogni ammiccata al pubblico invita a partecipare attivamente. La sensazione è realmente quella di stare sulla stessa barca, nessuno è preparato. Risultato? È un divertimento agro quello che si impossessa della platea. “Non so se vi è chiaro cosa sto facendo, eh!”. Brillante gioco di consapevolezza. Infatti. Stiamo davvero capendo cosa sta avvenendo sul palco?
White Rabbit, Red rabbit è definito sempre “esperimento”, ma di fatto è molto di più. Diventa grazie all’interprete un gioco. Serio come tutti i giochi, leggero come tutte le confidenze, presente come tutte le possibilità. Del resto è solo la parola del fool a poter assumere su di sé la voce dei fantasmi e ad avere in mano le chiavi per aprire quella regione sconosciuta e un po’ fuori portata, in cui addentrarsi grazie a un atto di pura e bella fiducia. È lì dentro, che è tutto presente. Questo diventa un “irraccontabile”: un atto di fiducia. Che Giuliana Musso e Nassim Soleimanpour compiono, che ci consegnano, e che alla fine ghignando si trasforma in un coniglio, o due conigli, o tanti conigli. Sono loro che restano a saltellarci nello stomaco con il ritmo delle parole di cui si sono fatti portatori, quella strana tipologia di parole che una volta imparate poi non saltellano più via, e un po’ stiamo lì a ripetercele, dopo, e anche un po’ a riderne, proprio come con le confidenze fatte in segreto che non puoi raccontare a nessuno. Ma a spettacolo finito, in effetti, anche noi non abbiamo più molta voglia di parlarne.