Arti Performative

Waiting for DNA. Nicola Galli – O | Proiezione dell’architettura ossea

Renata Savo

Primo appuntamento con Waiting for DNA, la rassegna dedicata alla danza contemporanea promossa dalla Fondazione Romaeuropa

Durante il primo incontro del ciclo di conferenze, lecture-demonstration, performance, intitolato Waiting for DNA, organizzato dalla Fondazione Romaeuropa presso l’Opificio Telecom Italia e dedicato al mondo della danza nazionale autoriale, si è tentato di rintracciare il significato della “scrittura coreografica” all’interno del panorama contemporaneo.

Ad aprire il discorso è stata Susanne Franco (docente di Storia della danza presso l’Università degli Studi di Salerno), con una digressione sulla nascita del concetto di scrittura coreografica, sancita dalla possibilità di perpetuare la memoria di una sequenza di movimenti attraverso la sua trascrizione grafica, e coronata dal riconoscimento della danza come linguaggio espressivo; la studiosa, poi, si è soffermata a discutere alcuni esempi di scrittura coreografica, attraverso la visione di materiale video che ha aiutato i presenti a inquadrare due differenti modalità di approccio alla scrittura coreografica, quelle di Martha Graham e Merce Cunningham. Subito dopo, sono state invitate Alessandra Sini (danzatrice, docente e coreografa di Sistemi Dinamici Altamente Instabili) e Francesca Magnini (dottoranda in Tecnologie digitali e Metodologie di Ricerca per lo Spettacolo presso il Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo dell’Università La Sapienza) a presentare il lavoro che stanno portando avanti individualmente: due interessanti linee di ricerca sulla scrittura coreografica in rapporto alla loro esperienza. L’incontro si è concluso con la presentazione del volume edito da Quodlibet, Agenti autonomi e sistemi multiagente, nato dall’incontro tra la danza di Michele Di Stefano e l’arte visiva di Margherita Morgantin, entrambi autori del suddetto testo.

Nel mezzo, tra la conferenza e la presentazione del volume di Michele Di Stefano e Margherita Morgantin, la performance di Nicola Galli eseguita nel foyer dell’edificio; entro i limiti di un quadrato vuoto al centro, tracciato a terra con uno strato di carta pluriball e circondato su tre lati dal pubblico.

O | Proiezione dell’architettura ossea di Nicola Galli si potrebbe definire un’esplicazione pratica e analitica del movimento del corpo umano. Una forma di danza analitica è, per dirla con le parole di un’illustre studiosa americana, Sally Banes, un tipo di danza che richiama l’attenzione sul movimento e sull’attività fisica “in maniera quasi scientifica”. Il rimando in questo caso si addice alla lettera, perché l’assenza di una partitura sonora esterna (caratteristica delle forme di danza analitiche descritte da Banes in Terpsichore in Sneakers, testo basilare per gli studi attuali sulla postmodern dance) è colmata da quella “interna”, corporea, prodotta dall’esecuzione naturale del movimento, dalle escursioni motorie che tendono a mostrare né più né meno la materia di cui siamo fatti e le relazioni interne tra i pieni e i vuoti; tra i liquidi e l’aria, i muscoli e le articolazioni. In una sorta di preambolo, Nicola Galli, infatti, isola ed esegue in successione il movimento di testa, mani, gomiti. Semplici ed essenziali, questi gesti non passano “inosservati” al nostro ascolto, producono ciascuno il suo rumore senza bisogno di amplificazioni. Puro suono di articolazioni in moto. Lo stesso, poi, è riprodotto, anzi, “proiettato” a terra quando il corpo comincia a disegnare sulla superficie piena di bollicine figure coreografiche limpide e precise, calcolate nello spazio al millimetro, essenzialmente geometriche ma che sanno sciogliersi anche in frangenti legati in maniera più fluida. Diversamente, qui non è il corpo, all’interno, a creare i suoni, ma essi sono dati dalla relazione del corpo con lo spazio esterno, dallo scoppio delle bolle di aria al suo passaggio.

Nicola Galli scolpisce lo spazio intorno a sé con grande rigore, controllando attentamente la tensione muscolare mentre danza sul e con il pavimento. Possiamo sentire, calcolare – e anche rintracciare visivamente se volessimo, dopo la performance – ogni centimetro della superficie attraversata dal suo peso.
La partitura coreografica ricorda nello stile e per la precisione esecutiva lo schema rigido di un’arte marziale (e qui viene da pensare allo studio analitico sul rapporto tra il movimento e la forza di gravità del coreografo americano Steve Paxton, figura assimilabile in questo caso anche per l’interesse verso l’anatomia della colonna vertebrale nei suoi esercizi definiti “material for the spine”).

Che i legamenti umani siano pieni di piccole bollicine di aria che scoppiano a ogni movimento? E’ un curioso spunto di riflessione; una questione fisica, naturale, inglobata in un linguaggio espressivo profondamente geometrico e artificiale.



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