Visioni prospettiche nella ‘Manhattan del Medioevo’: a San Gimignano torna “Orizzonti Verticali”. Intervista ai direttori artistici
Un anno fa, sulle nostre pagine segnalavamo così, all’interno di Rete Critica (retecritica.wordpress.com, rete delle maggiori testate web che si occupano di critica teatrale e che ogni anno assegna un premio alle realtà teatrali più interessanti sul territorio nazionale), il progetto Orizzonti Verticali:
«Il festival estivo a San Gimignano, diretto da Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari, è un progetto a cura della Compagnia Giardino Chiuso e Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee che che si distingue da qualsiasi altro progetto nel panorama delle arti performative italiano per l’utilizzo dei cosiddetti “hortus conclusus”, ovvero giardini di privati cittadini in cui avvengono eventi teatrali site specific e non, spettacoli immersi nel paesaggio spettacolare tipico della Val d’Elsa: location che incorniciano performance per piccoli gruppi di spettatori, installazioni o percorsi itineranti. Un festival in totale armonia con il contesto urbano e naturale in cui prende piede […]».
La tre giorni di festival, fiore all’occhiello della provincia senese, fa ritorno da oggi, 25 agosto, a sabato 27 giungendo alla decima edizione.
Per la direzione artistica di Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari, anche l’edizione di quest’anno, sottotitolata Visioni prospettiche, propone percorsi artistici votati alla multidisciplinarietà. Partecipano artisti e compagnie nazionali e internazionali, che a vario titolo animeranno i luoghi “segreti” della popolare San Gimignano, definita la ‘Manhattan del Medioevo’ per le sue numerosi torri concentrate sulla piccola superficie del borgo. Ci saranno Michele Santeramo/Fondazione Fabbrica Europa, Instabili Vaganti, Compagnia Atacama, Compagnia IVONA, Compagnia Giardino Chiuso, Teatro dell’Argine, Compagnia Tiziana Arnaboldi, Marco Baliani/Casa degli Alfieri.
Ripercorriamo in dialogo con Tuccio Guicciardini e Patrizia de Bari le tappe che hanno contraddistinto la nascita e l’evoluzione di Orizzonti Verticali.
Decima edizione per Orizzonti Verticali, tempo di bilanci. Come è nata l’idea di un festival nei giardini chiusi, pubblici e di privati cittadini di San Gimignano, e cosa significa per voi il titolo di questo progetto, che risuona come un ossimoro?
Se siamo a festeggiare il decennale di Orizzonti Verticali significa che l’investimento, intellettuale e non solo, non è stato vano. Quando abbiamo immaginato il titolo del progetto ci sembrava che potesse raccogliere molte sfaccettature al suo interno, in primo luogo l’architettura unica del paese, permettendo una visione che la verticalità delle torri di San Gimignano suggeriva, ovvero la necessita di ascendere, di salire i gradini della torre e giungere alla sommità per spingere lo sguardo più lontano, verso un orizzonte ben più visibile. Un altro motivo di questa scelta è che l’ossimoro ben rappresenta il teatro e tutte le arti dal vivo che per esprimersi hanno bisogno di contraddizioni al suo interno. Non è un caso che, come diceva Roberto Guicciardini [il regista fiorentino (1933-2017) che ha vissuto per lungo tempo proprio a San Gimignano, ndr], «Il Palcoscenico è lo spazio dove è ancora possibile elaborare domande, mettere in gioco le contraddizioni, aprire varchi alle utopie».
Alla nascita di Orizzonti Verticali l’idea era quella di riconnettere le generazioni delle arti dal vivo, con l’intento di innescare un dialogo, uno scambio di esperienze e soprattutto ricercare nuovi orizzonti nel panorama teatrale italiano. Per ben sette edizioni questo è stato il filo rosso e molti sono stati gli artisti di varie generazioni e varie discipline che si sono susseguite tra i palcoscenici naturali di San Gimignano. La risposta del pubblico, della critica in questi anni è stata sempre presente, e di questo ne andiamo fieri. Purtroppo la pandemia ha frenato e messo in pausa questo percorso, rivelando una nuova necessità, ovvero quella di rappresentare e raccontare l’oggi, la contemporaneità. Orizzonti Verticali è diventato una possibilità di espressione artistica che ricerca il contatto umano, intimo, del nostro lavoro, una ricerca di complicità tra chi guarda e chi agisce dalla quale non si può prescindere. Per questo l’idea di una protezione all’interno degli horti conclusi ci sembrava una risposta naturale agli eventi che stavamo vivendo. Aprire i luoghi dove i germogli del pensiero e dell’arte potessero crescere malgrado tutto ci sembrava potesse essere una soluzione. Ci ha facilitato in questa scelta anche e soprattutto la storia medievale e la conformazione urbanistica di San Gimignano.
Quest’anno si sono aggiunte nuove ambientazioni: cortili, architetture di difesa e persino un rifugio antiaereo. Come le avete intercettate?
Le piazze, le architetture, i giardini, le mura scrivono la drammaturgia del festival, vivendo e arricchendo l’orizzonte attraverso le emozioni e i pensieri che si materializzano tra le pietre, e nella sua storia. Nelle recenti edizioni e anche per questa edizione siamo andati a ricercare luoghi nascosti, luoghi preziosi, luoghi dove la parola e il gesto possano nascere e comunicare in un ambiente protetto e amorevole, in linea con la nostra inquietante contemporaneità. Ogni spettacolo, ogni performance ha la sua giusta collocazione spaziale. Per lo Spazzasuoni, lo spettacolo della nostra compagnia, ci sembrava perfetto un ex rifugio antiareo, dove la sua tematica riesce ad esaltarsi, senza dimenticare che la guerra in Ucraina ci riporta inevitabilmente verso luoghi che per noi erano dimenticati, spariti dal nostro immaginario quotidiano. Dobbiamo ringraziare tutti i sangimignanesi per la sincera collaborazione. Aprire la propria porta di casa per ospitare i germogli della cultura non è assolutamente scontato. Questo ci rende felici perché ci fa capire quanto la nostra operazione sia condivisa e importante per la nostra comunità.
Qual è il rapporto preesistente del territorio di San Gimignano con i linguaggi performativi?
Il rapporto tra San Gimignano e il teatro, la danza, è fecondo già da molto tempo. Senza viaggiare troppo a ritroso nel tempo, qui è nato negli anni sessanta il Gruppo della Rocca, una compagnia che ha scritto un capitolo importante della storia del teatro italiano. La stagione lirica si fregia di ben ottantasette edizioni. Il nostro lavoro ha quindi trovato facilmente terreno coltivabile. Da dieci anni stiamo proponendo un teatro che riesca a monitorare gli orizzonti. Il contemporaneo si fonde e si alimenta con la propria storia e con il proprio ruolo.
Con quale spirito avete messo su il programma di questa edizione? C’è un filo rosso che lega i vari progetti?
La nostra ricerca drammaturgica di Orizzonti Verticali è sempre stata ben presente. Non precludiamo nessun linguaggio, anzi tentiamo di mettere a stretto contatto vari generi dello spettacolo dal vivo, diverse modalità di rappresentazione per offrire al nostro pubblico una diversità che possa accomunare idee e far nascere in ognuno di noi il proprio senso critico e di libero arbitrio. In un “ordinato caos” possiamo ritrovare, assistendo ad uno spettacolo o a una performance le nostre sensazioni e le priorità di ascolto. Una buona palestra per il pensiero.
Come è cambiato nel corso degli anni questo progetto e come intende essere pensato in futuro?
Il nostro cammino artistico è strettamente legato alla contemporaneità, gli eventi, sia negativi che positivi, avranno sempre la loro influenza nelle scelte e nella costruzione dei nostri progetti.
Purtroppo gli obiettivi non possono esser programmati con largo anticipo visto il momento storico-politico che stiamo vivendo, e che d’altronde tutta la società, e non solo il teatro, sta attraversando. Comunque sia, il nostro sguardo sicuramente e sinceramente si rivolgerà verso un orizzonte possibilmente fecondo di idee. Noi auspichiamo di poter proseguire il nostro cammino fortificando e rinsaldando le nostre forze e le nostre relazioni. Orizzonti Verticali lo vediamo incamminarsi verso altri luoghi, connessi tra loro, per amplificare il nostro lavoro. La direttrice su cui stiamo lavorando è la via Francigena, un percorso concreto che sarà abitato da pellegrini/artisti per diffondere un’arte, quella teatrale, che ci appartiene da millenni.
[Immagine di copertina: “Autour du corps. Omaggio al Bauhaus” a cura di Danza Compagnia Tiziana Arnaboldi]