Virgilio Sieni // Pulcinella Quartet
19Se è vero che a teatro – ma ne assumiamo il più diffuso senso metaforico – una maschera riesce a nascondere le molteplici espressioni del volto, consentendo a chi la indossa di non tradire le proprie emozioni, è altrettanto vero che il corpo è vettore di un altrettanto vasto potenziale espressivo. La danza è l’arte che fa suo questo linguaggio e concentra nel movimento tutte le possibilità di comunicazione restituendo ad esso una dignità indipendente dall’uso della parola.
Il danzatore e coreografo toscano Virgilio Sieni, tra i più apprezzati sulla scena internazionale, decide quindi di svincolare il corpo anche dall’espressività facciale portando in scena la maschera di Pulcinella ed affidando la riuscita del lavoro all’omonima Compagnia che, nella composizione di un quartetto, presenta al pubblico gli innumerevoli e contrastanti stati d’animo di una tra le più celebri maschere della Commedia dell’arte.
L’ingresso in scena dietro il suono psichedelico eseguito dal vivo dal musicista Michele Rabbia (anch’egli presente sul palco) è una faticosa uscita dalle quinte. I Pulcinella si trascinano a vicenda in una lenta danza fatta di andirivieni tra il retropalco e la scena, in questo si legge chiaramente il peso della performance che si cela dietro la fissità della maschera; la condizione di chi è costretto nel ruolo definito da un travestimento è quindi la gabbia dentro cui si dimena l’identità del personaggio. Il farraginoso ingranaggio messo in moto dalla macchina umana realizzata dagli stessi Pulcinella, con una presa ai polsi ed alle caviglie, porta al cospetto del pubblico due danzatori ed una danzatrice coperti solo dalle calzamaglie e dalla maschera, appunto. Il tronco che – nel suo chiarore enfatizzato dalle luci – è l’unica parte del corpo a restare scoperta, intende rivelare l’autenticità della persona soffocata dal mascheramento e diventa al contempo una finestra sulle infinite potenzialità espressive messe in moto dalle coreografie. Il lavoro nella sua totalità è una messa in scena di gesti che subiscono numerose variazioni di tema proprio sulla scia degli stati d’animo che attraversano il personaggio che – non a caso – viene abitato da quattro interpreti diversi a cui talvolta se ne aggiunge un quinto. All’interno del quartetto, oppure in assoli, i Pulcinella danno vita alla loro danza che a tratti sembra la manifestazione di un moto interiore, mentre in altri momenti si ha la sensazione che i corpi siano trascinati dagli eventi esterni che trovano epicentro nella musica dell’incantevole musicista a fondo palco che riesce a suonare anche solo trascinando i piatti sul dorso delle percussioni. La sinergia che si crea tra musica e danza è circolare; è difficile infatti capire chi guidi chi, perchè è evidente come i corpi dei danzatori assecondino il ritmo delle percussioni ma altrettanto visibile è il fatto che il percussionista, come gli orchestrali col direttore, segua instancabilmente con lo sguardo i movimenti dinanzi a lui. É un lavoro di amalgama quindi che non rivela scollature o gerarchie tra la musica e la danza. I quattro si muovono sul palco generando energia sotto i colpi della Tammurriata napoletana o fissando lo sguardo del pubblico sul chiaroscuro dei corpi controluce che tendono le braccia all’esterno come a voler dire “è tutto quì!”, o come in una crocifissione provocata dal peso dell’apparire e della necessità di non disattendere le aspettative di chi si ha di fronte. Gravità e leggerezza si alternano quindi nella ricerca del gesto e nella interazione degli interpreti che si muovono dapprima compatti in un comune sentire, per poi relazionarsi in un contatto fisico che si esterna nella conduzione del movimento che un danzatore perpetra sull’altro. Il contatto diventa talvolta conduzione forzata degli arti se non addirittura trascinamento del corpo ed in questo diventa chiara la costrizione della maschera nel turbinio della performance scenica. I danzatori sono bravissimi a salire su questa giostra di emozioni, la fluidità del corpo, le loro cadute verso terra, danno l’idea dell’assenza di gravità e della fluttuazione nello spazio. In particolare è degno di menzione il talento di una delle due danzatrici che compongono la Compagnia, l’unica a rimanere a dorso nudo per tutto il tempo della performance. Il suo corpo si muove in maniera esatta sotto la metrica della musica ma è il movimento della sua testa a rapire lo sguardo: come coda di lucertola essa asseconda il gesti degli arti con movimenti nervosi e precisi e lo fa in maniera instancabile tanto da rendere inevitabilmente visibile la fatica che le si agita nel torace e la lucentezza del sudore sul suo corpo. A turno i Pulcinella si incontrano si rincorrono e si alternano sulla scena e a più riprese si pongono dinanzi al pubblico come in segno di commiato prima di ripartire trascinati dal suono in una nuova danza. Lo schieramento finale ed il braccio teso verso il pubblico sono il preludio ad una conclusione per certi versi attesa: la caduta della maschera, che rivela in un ultimo gesto tutto il mondo interiore dapprima filtrato dal travestimento. Il saluto è lento come l’ingresso sul palco, i corpi dei danzatori dicono senza remore tutta la fatica della mis en scene e l’accompagnamento musicale sa di approdo post tempesta in alto mare.
Non è un pubblico numerosissimo quello che assiste alla prima delle due serate in cui la Compagnia si esibisce per il Festival Fog della Triennale di Milano, ma l’applauso è tanto lungo da trattenere gli artisti sul palco per un bel po’ e sicuramente non è da escludere che qualcuno (come chi vi scrive) sarebbe tornato volentieri per bere d’un sorso la replica della sera successiva.