VIE Festival 2019 // VIE tra America Latina ed Europa – parte III
C’è stata molta America Latina nella XIV edizione di VIE Festival, ben due pièce sono arrivate dall’Uruguay che fu di Pepe Mujica, El Bramido de Düsseldorf di Sergio Blanco e Ex – que revienten los actores di Gabriel Calderón, mentre Casa Calabaza, diretto da Isael Almanza e scritto da Maye Moreno, giunge direttamente dal carcere di Santa Maria Acatitla, fuori da Città del Messico dove la Moreno è detenuta per matricidio. C’è anche molta Europa, ma quella è già stata in gran parte raccontata tra le nostre pagine (vedi in fondo a questa pagina, “Per approfondire”); qui troverete qualche accenno al Teatro delle Albe con il suo Fedeli d’Amore e a quel Dante Alighieri che negli ultimi anni è stato (e sarà) al centro dei loro pensieri. Tra Cesena e Modena, Bologna e Carpi, fino a Castelfranco Emilia si intrecciano queste proposte che nelle intenzioni del direttore di ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione, Claudio Longhi, rimangono fedeli «alla sua [del festival, ndr] prima vocazione di mappare la contemporaneità per tentare, più ancora che coglierne la strada maestra, di ipotizzare il tracciato labirintico dei suoi possibili percorsi aperti sulle geografie del nuovo, […] continua le sue ‘eccentriche’ esplorazioni della scena odierna per indovinare e proporne taluni dei tratti singolari».
Ci si trova nel mezzo di un festival che è anche un crocevia di storie e di culture. Non è un caso se in collaborazione con VIE Festival, ma circoscritto alla città di Bologna, ci sia anche Atlas of Transitions Biennale, a cura di Piersandra Di Matteo, che rimettendo al centro il concetto di “casa” nella sua seconda edizione intitolata HOME ha cercato di creare reti attraverso la scoperta dell’alterità. Le proposte di VIE, molto diverse da quelle di Atlas of Transitions, non hanno messo lo spettatore di fronte a un confronto diretto con l’alterità, ma hanno permesso il confronto con un prodotto dell’alterità, in questo caso, una pièce che viene da un mondo altro, un mondo che da cinquecento anni chiamiamo Nuovo. Un crocevia di storie e culture, perché la via Emilia è un luogo di incontro, una strada di passaggio commerciale importante dai tempi degli antichi romani e che continua a esserlo ancora oggi. Questi luoghi, da sempre fondamentali non solo per il commercio ma anche per scambi di conoscenze, sono naturali fautori di incontri. Così America ed Europa si ritrovano tra l’Emilia e la Romagna pronte a scambiarsi vestiti e suggestioni con una direzione finalmente biunivoca collocabile all’opposto di come l’indigeno era per i frati europei del Cinquecento: un vaso vuoto privo di conoscenza, da riempire.
E così, nelle quattro opere viste a VIE (El Bramido de Düsseldorf, Ex – que revienten los actores, Casa Calabaza e Fedeli d’Amore) ci si trova di fronte a grandi temi sociali e politici come il rapportarsi alla morte del padre, la memoria storica, la privazione della libertà e l’esilio. Prima di iniziare questo cammino lungo la via Emilia, tra Romagna ed Emilia, tra Europa e AmericaLatina, vale forse la pena di partire proprio dalla Romagna delle Albe che tornano a parlare del sommo poeta. Dopo Inferno e prima di Purgatorio, un Dante sul letto di morte ci trasporta attraverso le voci di Ermanna Montanari e le musiche in scena di Simone Mazzocchi in un polittico in sette quadri dove a parlarci «sono voci diverse: la nebbia di un’alba del 1321, il demone della fossa dove sono puniti i mercanti di morte, un asino che ha trasportato il poeta nel suo ultimo viaggio, il diavoletto del ‘rabbuffo’ che scatena le risse attorno al denaro, l’Italia che scalcia se stessa, Antonia figlia dell’Alighieri, e ‘una fine che non è una fine’». Ancora una volta una figura vissuta settecento anni fa (tra due anni, nel 2021 sarà il settecentenario della morte) riesce a mostrarsi in tutta la sua modernità anche grazie alla sapiente trasposizione di Marco Martinelli che insieme a Ermanna Montanari continua a vincere una sfida enorme come il parlare dell’Alighieri.
Da un Dante sul letto di morte passiamo alla morte del padre che Sergio Blanco mette in scena in El Bramido de Düsseldorf. Un’opera di auto-finzione in cui il protagonista, interpretato da Gustavo Saffores, è lo stesso Sergio Blanco, regista e drammaturgo di origini franco-uruguaiane. Anche in questo caso si parte dalla fine, dalla morte del padre (Walter Rey) su un letto di ospedale a Düsseldorf, per proseguire un racconto non lineare in cui si intrecciano presente, passato e futuro con tre differenti ragioni per le quali il drammaturgo dovrebbe essere in città: la firma di un contratto per la sceneggiatura di una pellicola porno, l’inaugurazione di una mostra (cui il protagonista ha collaborato) su Peter Kürten (serial killer tedesco di inizio ventesimo secolo) e infine la conversione all’ebraismo. In scena anche una bravissima Soledad Frugone che con i suoi cambi di abito e di personaggio riesce a scandire anche visivamente la pièce.
Tornando in Romagna e più precisamente al Teatro Bonci di Cesena, ma anche in Uruguay dove è ambientata Ex – que revienten los actores, ritroviamo anche l’interprete di El Bramido de Düsseldorf Gustavo Saffores che insieme a una nutritissima schiera di attrici e attori interpreta la commedia di Gabriel Calderón. Anche qui un racconto non lineare in cui il regista attraverso l’espediente di una macchina del tempo riunisce le vicende personali di una famiglia che si intersecano alla dittatura in Uruguay, e quindi al problema della memoria collettiva. Lo stesso Calderón in un’intervista sulla Gazzetta di Modena racconta di come l’idea dello spettacolo sia sorta dall’ascolto di un discorso di Pepe Mujica nel quale sostiene che «i problemi del passato non si possono superare se non quando muoiono i protagonisti di questi problemi». Proprio per questo, sostiene il regista, attraverso la finzione della macchina del tempo si riesce a mettere in contatto presente e passato nel tentativo di trovare delle soluzioni.
Dall’Uruguay del Bramido saliamo fino a Città del Messico, dove Isael Almanza mette in scena, insieme alla compagnia El Arce, Casa Calabaza. Scritto da María Elena Moreno Márquez detenuta del carcere di Santa Maria Acatitla per matricidio, si tratta di una pièce autobiografica che rientra nel solco del teatro carcere dove però i ruoli si invertono e diventa una compagnia professionista a mettere in scena il testo di Maye Moreno (Maye è il soprannome che le hanno dato le sue compagne di cella). Tre giovani e giovanissime attrici interpretano in scena le diverse età della protagonista fino al momento culminante del matricidio dovuto a una situazione famigliare asfittica nella quale Maye si sentiva prigioniera tanto quanto lo è nella prigione. Paradossalmente, infatti, la protagonista riesce a trovare la sua libertà proprio grazie alla scrittura che la porta ad avviare – dice Almanza – «un processo di rielaborazione che non le era possibile prima. In carcere raggiunge un senso di libertà mai provato».
Durante VIE Festival abbiamo così viaggiato fisicamente tra Emilia e Romagna ma anche idealmente tra America e Europa: la Via Emilia, che connette tutti i centri di ERT in cui si svolge il festival, è un ponte, un veicolo di connessione non solo fisica ma anche metaforica, di idee e di cultura. Un luogo di scambio nel quale poter ragionare e arricchirsi attraverso occhi altri.
Per approfondire:
Maria D’Ugo, VIE Festival 2019 // La sincerità del racconto, l’artificio del raccontare – parte I, 17.03.2019
Andrea Zangari, VIE Festival 2019 // La verità è un “puppet” – parte II, 25.03.2019