Arti Performative

VicoQuartoMazzini // Sei personaggi in cerca d’autore

Maria Antonietta Trincucci

Al Teatro dell’Orologio, il classico di Pirandello rivisitato da Gabriele Paolocà, che consegna allo spettatore una messinscena vivace e assolutamente godibile


 

Nella storia del teatro esistono opere precedute da una certa cattiva fama (giustamente o ingiustamente non lo decideremo qui), che sono un po’ la croce e la delizia del pubblico e degli addetti ai lavori: da sempre si offrono a disquisizioni, teorie e grandi dibattiti, tra chi li ritiene sacri e intoccabili, chi soltanto un possibile catastrofico suicidio artistico, e chi li considera accattivanti sfide da cogliere per offrire nuovi sbocchi interpretativi.

Luigi Pirandello appartiene a questa categoria di autori artefici di tali dissertazioni e il suo Sei personaggi in cerca d’autore si potrebbe erigere quale emblema perfetto di conflitti tra generazioni di teatranti.

Questo non certo per la natura drammatica e la dolorosa vicenda narrata, ma perché pare che costringa i malcapitati artisti a misurarsi all’infinito con la loro personale condizione e, a chi possiede una sensibilità teatrale, a porsi intime domande.

Pirandello non accetta mezze misure. Palesa con arguta critica i grandi conflitti e le ipocrisie che il teatro porta con sé; se si decide di metterlo in scena, senza svilirlo, non ci si può sottrarre all’urgenza più forte che l’opera sembra gridare: la necessità di verità.

Piena degli insegnamenti del Maestro, sono andata a teatro a vedere Sei personaggi in cerca d’autore di VicoQuartoMazzini, e nel profondo della mia coscienza, forse, anche io mi stavo trivellando di domande, prima di entrare in sala. La risposta che ho ricevuto è stata un’immagine non certo convenzionale: un panino gigante. Uno di quei costumi di peluche indossati da chi, nelle grandi metropoli, distribuisce flyer di offerte che promettono mega hamburger e patatine in omaggio (unico caso di panino che mangia un uomo). Ebbene, ad accogliere me e gli altri spettatori al Teatro dell’Orologio, c’era questo panino/uomo. Un’immagine che mi ha aiutato a liberarmi di tutte le prevenzioni che un’opera teatrale difficile e complessa può ingenerare in ogni spettatore.

Il testo, ripulito e snellito da alcuni elementi, ci riconsegna una messinscena dinamica e godibile. Scelte pratiche e semplici, ma efficaci. Dei sei Personaggi ne restano quattro (il Padre, il Figlio, la Figliastra, la Madre addolorata) mentre la Bambina e il Giovinetto, privi di battute già dal loro concepimento pirandelliano, vengono sostituiti da una parrucca con lunghe trecce bionde e una giacca da marinaretto. Ciò che basta a farli vivere sulla scena, confermando la loro esistenza/assenza. Via anche gli attori, l’intera compagnia: il macchinista, il trovarobe, l’usciere del teatro, il suggeritore, spariti tutti. Al loro posto, dentro l’improbabile costume più sopra menzionato, resta solo il direttore-capocomico, odierno regista in declino, che sopravvive smistando volantini.  Tutto sembrerebbe essere racchiuso in lui. Non sappiamo se si tratti del delirio di un uomo disperato, di un sogno o di un ricordo del passato che prende forma. Li vediamo avanzare, e insieme a lui li accogliamo: i Personaggi, incompleti e abbandonati, impazienti di tornare vivi, di conquistarsi l’immortalità attraverso la penna del proprio autore.

La regia di Gabriele Paolocà, vivace e piena di trovate, stupisce per la cura di particolari come la restituzione in scena delle parole dell’autore trasformate in surreali intermezzi; la semplice descrizione dei personaggi, capace di dare vita a siparietti entusiasmanti e divertenti (sarei tentata di descrivere minuziosamente l’entrata in scena di Madama Pace, ma preferisco non rovinarvi la sorpresa); o, addirittura, le indicazioni riportate tra le battute (la risata della figliastra, il gesto di indicare), ripetute ossessivamente e cinicamente a dare forma plastica e sonora allo spettacolo.

Tutto viene riproposto per redigere una nuova partitura, che appaga il senso di preparazione degli spettatori più esigenti ed è pronto a rapire l’attenzione di un pubblico completamente ignaro delle vicende.

Ogni elemento segue armonicamente la narrazione: il disegno luci sembra far rivivere l’intenzione dell’autore di far emergere le zone oscure dell’animo umano, amplificandole a dismisura, e anche la musica si aggiunge a completare la storia dei Personaggi. Non manca nulla: da Tchaikovsky si passa a un pezzo pop anni ’80, fino alle nenie popolari siciliane, pizzicate su un ukulele.

Gli attori (Michele Altamura, Nicola Borghesi, Riccardo Lanzarote, Paola Aiello, Natalie Norma Fella) riescono davvero ad “esistere” come vorrebbero i loro Personaggi, sostenendo i ritmi della storia con disinvoltura ed energia.

È uno spettacolo che lascia piacevolmente scombussolati, perché nasconde dietro una veste giocosa molti livelli di analisi ed interpretazione. Il risultato è un Pirandello disincantato e profondo, smorzato da quell’aura di obsoleta serietà che pesa sull’autore.

 

 

 


Dettagli

  • Titolo originale: Sei personaggi in cerca d'autore

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