Vetrina. “Vita, morte e miracoli”
In un paesino del meridione, la routine viene interrotta da eventi straordinari: un racconto agrodolce del siciliano Roberto Mandracchia.
Il secondo romanzo di Roberto Mandracchia, dal titolo Vita, morte e miracoli, ritrae i molti vizi e le poche virtù di Retolo, piccola comunità del Sud Italia. La vita è quella di Canio Calicchia, custode del cimitero locale che ha una peculiarità: è stato costruito a forma di organo genitale femminile, di “fica”, per dirla con i retolesi. Oltre al posto di lavoro Canio ha ereditato dai propri avi anche una caratteristica fisica: il ginocchio valgo. Questi due elementi risultano qualificanti nel piccolo e noioso paesello dove la ripetitività scandisce il susseguirsi dei giorni e delle settimane, e ben si adatta all’indole del protagonista, uomo semplice che trova rassicurazione nei meccanismi ricorrenti. Canio ha un animo ingenuo, è incapace di malvagità o di calcolo. Stenta addirittura a intendere l’ironia: «Volevi far ridere?», chiede ogni tanto ai suoi interlocutori, per capire se ciò che gli viene detto sia uno scherzo o una cosa seria.
La routine di Retolo viene meno quando si diffonde la voce che Nunziatella Levo, un’anziana del luogo, parla con la Madonna, con i defunti, e ha stimmate sanguinanti su mani e piedi. L’evento crea subbuglio in paese, richiama le attenzioni dei media e pellegrini da ogni dove. I paesani risultano molto ricettivi alla novità, disposti a vendersi calpestando coloro che non si piegano al delirio mistico che muove le nuove dinamiche sociali e politiche. Tra questi, Canio Calicchia, che cerca di restare fedele a se stesso, senza aderire alla febbre del miracolo che contagia tutti. Ma ben presto la vita per lui prende una china discendente, e anche il suo luogo, il cimitero, dove i morti andavano a fargli visita “per sempre”, diventa più solitarioche mai.
Roberto Mandracchia, classe 1986, scrive una commedia sulla disposizione dell’animo umano a cedere alle superstizioni, alle credenze consolanti, ma anche uno spaccato dei meccanismi che regolano la comunità, che sa accogliere e inglobare ma al tempo stesso non accetta il comportamento difforme, bollandolo come deviante ed escludendo chi se ne fa portatore. Nel testo il registro dialettale, con cui si esprimono i paesani, si alterna all’italiano, la lingua della narrazione, che ha il registro semplice e senza fronzoli di Canio. La ridondanza nel linguaggio, la ripetitività di pensieri, parole, conversazioni, azioni, sono funzionali alla storia, rende perfettamente, quasi riproducendola, la noia del paesello. La leggerezza con cui è reso il concetto dell’esclusione ne fa un romanzo agrodolce, divertente e amaro.
- Genere: Romanzo