Vetrina. “Stati di grazia”
Storie del Novecento nel romanzo di Davide Orecchio, che ha la memoria di uno storico e la penna di un grande scrittore.
Dopo aver vinto, nel 2012, il Mondello e il Super Mondello con la raccolta di racconti Città distrutte. Sei biografie infedeli, Davide Orecchio torna con un romanzo, Stati di grazia, ambientato in tre luoghi e tre epoche diverse: la Sicilia rurale del 1954, da cui si fugge, via mare, per l’Argentina del ventennio 55-76, terra di lavoro e dittatura, e per finire Roma, dal ‘76 ai giorni nostri. Una trama vasta, in cui ogni singolo capitolo potrebbe avere una propria autonomia.
È un romanzo corale, con personaggi che si passano il testimone, sfiorandosi, incontrandosi, condividendo, allontanandosi. Paride Sanchez, insegnante, non supera la morte di un alunno, che abbandona la scuola per la miniera, e decide di sparire, lasciando moglie e figlia. L’altro Paride, padre del bambino morto, lascia la sofferenza in Sicilia per trovarne altra in Argentina, terra dello zucchero e di un regime crudele. C’è chi resta a combattere, chi si nasconde, chi scappa, come Aurora, che ha perso il suo amore in Argentina, e ne trova uno nuovo a Roma, dove scandisce la sua infelicità con i versi dei poeti che ama: “gli immortali e i viventi: conosco solo queste due categorie, i poeti non muoiono mai”.
Tante storie. Connessioni. Una Storia. Le propaggini di una vita sono le radici di altre vite. Un linguaggio per ogni racconto, un registro e una forma narrativa per ogni personaggio. Il participio passato privo di ausiliari è la lingua di Paride. Il passato remoto misto al presente esprime la follia d’amore di Aurora. Lingue che vanno di fretta, che si arrotolano, lingue che corrono, che vogliono scappare prima che sia troppo tardi, come quella del medico Diego Wilchen. Lingue antiche, agricole, casalinghe, disperate, incalzanti, folli.
Abbondano le figure retoriche della ripetizione: pleonasmi, enumerazioni, termini accostati in maniera apparentemente caotica, semanticamente vicini o opposti, a riflettere il disordine interiore, a sottolineare il dolore. Davide Orecchio non fa economia, né di parole né di storie. Avrebbe potuto continuare all’infinito, di capitolo in capitolo, fino a raccontare l’umanità tutta. Il suo romanzo è difficile, alcuni passaggi esprimono in maniera davvero dolorosa la crudeltà dell’uomo, lupo per l’uomo. Rimandando alla prosa sperimentale e frenetica di Carlo Emilio Gadda, col quale condivide plurilinguismo, pluristilismo, le accumulazioni di verbi, aggettivi, sostantivi, a rappresentare il caos universale, Orecchio dà, ancora una volta, prova di una scrittura acuta, articolata, seria, ricercata, e molto rara.
- Genere: Romanzo