Vetrina. “Stalin + Bianca”
L’amicizia di due giovanissimi, e il loro viaggio verso l’età adulta, nel secondo romanzo di Iacopo Barison.
“Vorrei aggiungere che lo stadio è completamente vuoto. Gli orizzonti scompaiono, i riflettori puntati sul campo si spengono all’improvviso”. L’incipit di Stalin + Bianca, di Iacopo Barison, ci catapulta nel flusso dei pensieri del protagonista, un adolescente problematico, detto Stalin a causa dei baffi. Lo vediamo girare in Vespa, nella periferia di una città senza nome, che guida sulla scia delle sue riflessioni, mentre osserva il mondo. Stalin ha un problema di gestione della rabbia, brutti ricordi, e sensi di colpa. Ha solo due amici, l’anziano Jean, che lo ingaggia per i propri traffici e Bianca, una ragazza non vedente.
Nel giorno del suo diciottesimo compleanno, accecato dall’ira, colpisce a morte il patrigno. Incapace di affrontare le conseguenze del proprio gesto, va da Bianca, e la convince a scappare con lui. I due raggiungono la capitale, che potrebbe essere Roma o qualunque altra metropoli occidentale. Si uniscono a un gruppo di artisti di strada che abitano un palazzo abbandonato, poi partono di nuovo, in autostop, on the road. Parallelo al viaggio, Stalin intraprende un percorso interiore. Telecamera alla mano, filma tutto e tutti, come se l’occhio elettronico fosse la lente attraverso cui cerca di dare un senso all’esistenza.
La presenza di Bianca fa da contraltare alla sua confusione. Lei, relegata al buio, rappresenta la sicurezza e l’equilibrio che a Stalin mancano. Lui, d’altro canto, è il suo sguardo – le racconta la realtà, a volte edulcorandola – e la sua memoria – annota su un quaderno le poesie che lei compone in mente. Il sentimento platonico tra i due ragazzi, e i loro dialoghi, sono una piccola luce in un mondo altrimenti fosco, in cui si ha la sensazione che l’umanità sia stata sconfitta dalla modernità.
Barison dipinge una realtà inospitale, priva di speranza, in cui gli arcobaleni si sono estinti. Un mondo in cui fa freddo, popolato da esseri umani atomizzati, codici numerici che si muovono in location che hanno i colori di una palette di grigio. La scrittura scorre seguendo le elaborazioni mentali di Stalin, lo stile narrativo è interessante, anche se spesso i riferimenti geografici generici suonano poco naturali, e i pensieri di Stalin in qualche caso tendono al didascalico. L’autore affronta bene il tema della fuga, un percorso di introspezione e apertura verso il mondo e verso l’età adulta.
Un plauso a Tunué, casa editrice specializzata in fumetti, che ha scelto di investire in una nuova collana di narrativa, inaugurandola con due giovanissimi, Barison, classe 1988, e Sergio Peter, autore di Dettato, classe 1986.