Vetrina. “Roderick Duddle”
L’avventura lunga e movimentata di un orfano nell’Inghilterra dell’Ottocento nel romanzo di Michele Mari.
Arrivato secondo al Premio Campiello 2014, con Roderick Duddle Michele Mari riporta in libreria un genere che sembrava estinto: il grande romanzo d’avventura. Roderick è il figlio di Jenny la magra, prostituta dell’Oca Rossa. Alla morte della madre, Jones, padrone della locanda, caccia via il bambino senza pietà, ma ben presto si rende conto di aver commesso un errore madornale. Roderick, infatti, si scopre essere il nipote di Lady Pemberton, prossima alla dipartita, che vuole sedare la propria coscienza ritrovando la figlia abbandonata alla nascita. Il bimbo, riconoscibile grazie a un medaglione, diventa l’erede inconsapevole della fortuna dei Pemberton, oggetto della caccia di Jones, di legulei senza scrupoli, di suore e mercenari.
Roderick in fuga, si troverà a fronteggiare mille difficoltà – il male avrà sempre sembianze umane – vedrà la morte a più riprese, e di tanto in tanto si imbatterà in figure positive come il pescatore Jack e il marinaio Pip. Sul suo percorso di solitudine troverà anche un amico, l’altro Roderick, come lui orfano e inconsapevole oggetto delle macchinazioni altrui.
Sin dal primo capitolo il lettore prova una sorta si sfasamento per via del prologo, in cui Roderick, vessato dal malvagio Salamoia, mente dicendo di chiamarsi Michele Mari, di essere figlio di Iela Mari – autrice di libri per bambini – e di un designer. Finito il gioco iniziale la narrazione si rifà alla grande narrativa ottocentesca inglese, con ambientazioni dickensiane, ma anche una certa maniera manzoniana di rivolgersi al lettore, richiamandolo e orientandone lo sguardo con bonaria ironia.
Roderick Duddle, è un romanzo d’avventura, in cui il mix di efferata violenza e perversioni sessuali, è proposto con tanta sapienza da non urtare minimamente il lettore. L’occhio onnisciente del narratore si sposta di qua e di là mentre la penna racconta in una sorta di euforia narrativa, e tiene a bada il lettore con tono confidenziale, ironico, ammiccante fino allo scioglimento finale.
Michele Mari è un nonno che affabula i nipoti, creando un mondo ricco di peripezie e vicissitudini, e divertendo con l’uso svelto e ricercato della lingua: belle le invenzioni letterarie nelle lettere dalla grammatica incerta di Jones, innamorato di un “malfrodito”, nel linguaggio finto “altolocato” di La Fayette. Il romanzo sa di letteratura d’altri tempi, così come l’ambientazione. La mappa a inizio libro ci mostra i luoghi immaginari ma realistici creati da Mari, e il complesso intreccio consente al lettore di sospendere il giudizio e godere di ogni parola, fino al giro di vite finale.
- Genere: Romanzo