Vetrina. “Quando eravamo prede”
Un’avventura umana e bestiale a stretto contatto con la natura nel romanzo allegorico di Carlo D’Amicis.
Ci sono scrittori che raccontano storie, altri che inventano mondi. Carlo D’Amicis, con Quando eravamo prede, si inserisce nella seconda categoria.Un confine invisibile attorno al bosco delimita il Cerchio. Oltre non si va, non si oltrepassa la linea che separa da un mondo sconosciuto, in cui vivono gli “altri”, le Scimmie e i Gorilla. All’interno del Cerchio ci sono i cacciatori, che hanno i nomi degli animali a cui assomigliano, per indole o per fattezze fisiche: Toro, Bisonte, Formica, Leone.
Toro è il capo e l’inseminatore. Gli altri cacciatori sono sterili, padri putativi dei pochissimi giovani. Le femmine sono relegate sui pascoli, al solo scopo di essere ingravidate, ad eccezione della Cagna, che vive in casa con suo figlio Agnello, il narratore, con Toro, e con Alce, padre putativo del ragazzo. Agnello è un adolescente che non vede l’ora di crescere e di diventare cacciatore, l’età adulta dirà se diventerà Pecora o Montone. Per i suoi due padri, legati da un rapporto di perversione sessuale – Alce si eccita a guardare la Cagna posseduta dal Toro – prova un misto di affetto e ribellione. Un giorno il ragazzo viene catturato da una Scimmia. La donna lo carica sul suo pick-up e lo riporta a casa violando il Cerchio. Da quel momento in poi la vita non sarà più la stessa. A cominciare dalla scomparsa degli animali, che porterà la fame, la rottura degli equilibri, la violenza e la trasformazione dei cacciatori in prede.
La citazione all’inizio del testo rimanda a Signore delle mosche, capolavoro di William Golding a cui non si può fare a meno di pensare leggendo Quando eravamo prede. Anche qui si assiste alla perdita dell’innocenza del gruppo, e al progressivo sfaldamento degli equilibri sociali. I cacciatori non hanno il concetto di proprietà privata, e non conoscono Dio, perché è soltanto il Bosco che detta i ritmi e gli dà da vivere. La distanza tra il dentro e il fuori risulta salvifica per il branco, ma il desiderio di varcare i confini e oltrepassare i limiti è l’irresistibile mela del peccato. Carlo D’Amicis ha creato un mondo ibrido, umano e animale, guidato dalle leggi di natura – da sovrastare ma non soggiogare – e dalle leggi del gruppo, che al tempo stesso è civiltà e creato. Un mondo in cui uccidere è più facile che spaccarsi la schiena a coltivare, in cui gli istinti convivono con la ragione e non si mortificano con il pudore, in cui le parole hanno un altro suono, ma comunicano efficacemente. Un libro originale, sporco, spiazzante, divertente, tragico e intenso, che ritrae nel profondo la natura umana.
- Genere: Romanzo