Vetrina. “La testimonianza della poesia”
Le sei lezioni del premio Nobel Czeslaw Milosz su forme e destino della poesia del Novecento.
È facile, ma non facilissimo, comprendere il discorso fatto da Czeslaw Milosz all’Università di Harvard nell’arco del biennio 1981-82 (a brevissima distanza dal Nobel, dunque), che giace ora, e finalmente, fra le pagine del prezioso volume edito da Adelphi. Forse perché, proprio come il tipo di linguaggio che prova a definire, e che include per natura il concetto di tentativo, riesce nel suo intento a metà: universalizzando il suggerimento e nascondendo la spiegazione di tutto ciò che dice.
Ne La testimonianza della poesia, il premio Nobel polacco si interroga sul – o meglio, sui – perché a monte di quel che differenzia la produzione poetica del Novecento da quella dei secoli addietro: la sua cupezza diffusa; il senso d’incertezza e profonda inquietudine rispetto a ciò che «non è più garantito» per via degli squarci d’orrore che attraversano gran parte dei suoi anni, lasciando segni indelebili; il lungo addio all’ “Età degli slanci”, l’Ottocento, e a tutti gli impeti millenaristi, i guizzi romantici in direzione dell’eterno – residui, ma non per questo salvi, durante l’epoca delle Grandi Guerre – che le sono appartenuti; la frammentazione – sorella della frantumazione delle regole e delle convenzioni – ultima e al contempo fortunata spiaggia per la ribellione dello spirito.
È, quello di Milosz, un interrogarsi avvincente e appassionato, cadenzato da tanti capitoli quante sono le lezioni (e relativi temi) riportate: sei pezzi non esattamente facili il cui punto d’arrivo, in larga parte raggiunto, consiste nel sistematizzare in forma scritta la spontaneità dei verba, delle parole pronunciate; e, per di più in merito a quesiti di enorme – e sovente insoluta – entità.
Perché sembra impossibile trovare argomenti per confutare quanto sosteneva Theodor Adorno – “dopo Auschwitz non è più possibile la poesia” – oppure Simone Weil – “Il carattere essenziale della prima metà del Novecento è l’indebolimento e quasi il venir meno della nozione di valore. […] Gli scrittori erano per eccellenza i guardiani del tesoro che è andato perso, e alcuni si sono vantati di questa perdita”. Eppure, è pensabile: almeno per quanto ritiene Milosz quando ha da dire “sulla speranza”, l’ultimo (non a caso) dei suoi interventi. Ed è lì che prende forma il paradosso di una società – forse destinata a rimanere sogno – che annienta errori e orrori del passato traendo dalla memoria di quest’ultimo l’insegnamento supremo: la Storia.
Il come farlo è la cosa non facile da capire, il difficile di cui sopra. A cui è necessario pervenire non leggendo ma rileggendo parole come quelle contenute ne La testimonianza della poesia.
- Genere: Saggistica
- Altro: Curatela e traduzione di Andrea Ceccherelli