Vetrina. “La terra del sacerdote”
Una storia violenta, disgraziata, amara, ambientata tra un antico Molise di oggi e la Germania di ieri.
Due terre, Italia e Germania, in cui il passato e il presente si intrecciano confondendosi, fanno da sfondo a La terra del sacerdote di Paolo Piccirillo, un romanzo in cui il prima e il dopo si fondono in un intarsio che ha il sapore amaro di quella disperazione che non si esprime attraverso le grida, ma attraverso la rassegnazione.
La storia si apre con un capitolo che dà subito l’idea della crudezza che permea la realtà narrata. Una donna, tenuta prigioniera in una gabbia insieme agli animali, riesce a liberarsi e finalmente a scappare. Durante la fuga scopriamo che Flori, questo il nome della donna, è al nono mese di gravidanza: partorisce mentre fugge sola nella notte, in mezzo alla fredda terra. Dà alla luce un neonato morto. Senza lacrime lo abbandona e cerca la propria salvezza. Alcuni dettagli collocano la scena, che sembra antica e lontana – non senza provocare una sensazione di spaesamento nel lettore – qui ed ora. È il Molise di oggi, ed è il tempo degli iPhone.
Durante la sua fuga Flori si imbatte in Agapito. Lo chiamano “il sacerdote” anche se in effetti non lo è più; quella in cui viene sepolto il neonato è la sua terra. L’incontro tra i due sancirà l’inizio di un cambiamento in un posto dove tutto sembra destinato a restare immobile, uguale a ciò che è sempre stato. Una terra sterile, che dà solo frutti neri e marci, è il luogo del presente, attorno a cui ruotano personaggi e storie. La narrazione si incastra con i frammenti di un passato che vede il giovane Agapito emigrare in Germania con l’amico Mariano, dopo l’infanzia povera in Italia. A Stoccarda, insieme ad altri immigrati, i due tirano avanti anche grazie alla carità di alcuni tedeschi e la ricerca di cibo e vestiti nei cassonetti. Agapito, si ricicla come sacerdote, predica agli italiani, li ascolta, li assolve. Ben presto la vita in Germania lo porterà a dover essere assolto a sua volta. Ma le colpe che nascono in terra straniera non si cancellano facilmente. Non subito, almeno.
Il romanzo si rivela poco a poco, con l’emergere graduale di un’architettura complessa, costituita da due linee temporali principali, da cui si dipartono parentesi oniriche. Paolo Piccirillo, classe 1987, con questo secondo romanzo conferma uno spessore narrativo difficile da trovare in scrittori così giovani, attraverso un intreccio che ci propone, sfumati l’uno nell’altro, frammenti di un’umanità disumanizzata. Notevole anche il linguaggio: un italiano non banale che si alterna a un dialetto riconducibile alle campagne molisane.
La terra del sacerdote apre al lettore delle porte su un mondo plumbeo, fatto di terre ostili e avide, dove non sembra esserci spazio per sentimenti come l’amore, il calore, la tenerezza, dove la stessa umanità sembra selvatica, primordiale, sporca. In queste terre il passato è un fardello pesante e il futuro si schiaccia su un presente in cui l’unico obiettivo è un faticoso tirare a campare.
- Genere: Romanzo