Vetrina. “La conservazione metodica del dolore”
L’esordio narrativo di Ivano Porpora per Einaudi, recensito e poi discusso da Giorgia Tolfo in un coinvolgente confronto con l’autore:
Nel secolo scorso, il connubio tra letteratura, fotografia e memoria è stato al centro di alcune acute riflessioni teoriche: tra queste brilla senza dubbio La camera chiara di Roland Barthes, un breve ed intensissimo saggio sul recupero della memoria della madre da poco morta a partire dalla fotografia, o più precisamente, dall’”assenza della fotografia” e dalla sua sostituzione con la parola.
Leggendo l’esordio narrativo di Ivano Porpora, La conservazione metodica del dolore, è impossibile non pensare al testo di Barthes.
La storia è quella di Benito, fotografo affetto da epilessia, che, nell’organizzare la sua personale al Forma è costretto dalle persone che lo circondano, la moglie, la figlia e un caro amico, a ricordare eventi misteriosamente rimossi dalla coscienza, ma celati dietro alla superficie delle sue fotografie.
E così, con lo sforzo della memoria, complicato da una malattia che sembra aver vita propria, Benito cerca di ricostruire con la penna e innumerevoli (forse eccessivi) secchi di china nera un decennio, gli anni ’70, di cui è stato da un lato partecipe e dall’altro spettatore. Egli cerca, in altre parole, di recuperare tramite la fotografia un passato “morto”, i cui tratti sembrano essersi persi per sempre nel buio a causa della malattia.
Quello di Porpora, duole ammetterlo, è un racconto forzatamente struggente, che si divide tra racconti di amori persi, traumi infantili e drammi da villaggio, un romanzo che può risultare troppo ovvio a fronte della conoscenza della fotografia, così come prevedibili e confusamente accatastate appaiono essere le citazioni fotografiche.
Sembra esserci nel romanzo di Porpora tutta la storia del pensiero sulla fotografia: dalla riflessione sul rapporto con la memoria e la scrittura, ai palinsesti memoriali (addirittura riprodotti testualmente con delle liste), dalla relazione tra fotografia e morte (evidentemente mutuata da Barthes) allo studio delle recezioni fotografiche di John Berger. Ma non solo. Essendo il protagonista del romanzo fotografo ed organizzando la mostra al Forma, vediamo che anche i suoi scatti di fatto sono incoerenti e copiati: preti all Cartier-Bresson, scatti alla Sander, nudi alla Man Ray; insomma, c’è da chiedersi se Benito sia davvero un fotografo con una sua identità precisa o se il Forma, nell’invitarlo a fare una personale, non abbia preso un abbaglio; specie di fronte al fatto che, dopo un lunga riflessione, il titolo prescelto della mostra è, guarda caso, Omissis, che a dire il vero ci ricorda un po’ troppo “La fotografia del giardino d’inverno” di Barthes.
Innegabile lo sforzo di Porpora, la bella scrittura, la sfumatura locale emiliano-lombarda, l’ammiccamento agli anni ’70 bolognesi e alle rivolte, ma forse a voler mettere troppa roba nel sacco, un po’ lo si è strappato.
- Genere: Narrativa italiana