Libri

Vetrina. “Il processo Eichmann”

Valentina Nencini

Con la vicenda del processo ad Adolf Eichmann torniamo a riflettere sulla cosiddetta “soluzione finale”, uno dei crimini che ha lasciato un segno indelebile nella storia del Novecento e del mondo. 

 

Accostandosi alla lettura de Il processo Eichmann di Deborah E. Lipstadt risulta impossibile non chiedersi cosa significhi essere obiettivi e se sia veramente necessario esserlo sempre e comunque.

La vicenda è una di quelle destinate a lasciare un segno nella storia e a sollevare critiche ancora a distanza di più di cinquant’anni. La Lipstadt racconta della ricerca e della cattura del gerarca nazista Adolf Eichmann, rifugiato in Argentina dopo la sconfitta tedesca e lì rimasto per anni a vivere sotto falso nome. Rintracciato e catturato dai servizi segreti israeliani fu poi portato di nascosto ad Israele per essere sottoposto ad un processo che divenne uno dei più importanti e simbolici mai condotti. Il processo, tenutosi nel 1961 nel teatro di Beit Ha’am, sollevò molte critiche da parte della comunità internazionale, soprattutto per la decisione di svolgerlo a Gerusalemme da un tribunale presieduto da giudici israeliani. Le vittime, quindi, avrebbero processato il carnefice. Il processo si concluse con la condanna a morte dell’imputato ma quello che questo fatto storico rappresentò non si estinse con la vita di Eichmann.

La Lipstadt percorre le vicende della cattura e dell’allestimento del processo in maniera abbastanza cronachistica e descrittiva, narrando essenzialmente i fatti storici. Ma quando deve affrontare la questione morale insita nella vicenda l’obiettività viene meno in favore di una presa di posizione che però non appare mai del tutto chiara. Imprescindibile, in tal senso, è anche il confronto tra le opinioni della Lipstadt e quelle di un’altra narratrice di eccellenza degli stessi fatti, Hannah Arendt. La filosofa tedesca affrontò le stesse vicende in quella che, forse, resta la sua opera più famosa, ovvero La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme.

La Lipstadt, a differenza della Arendt, ha dalla sua parte la distanza storica che serve, necessariamente, ad acquisire il giusto distacco dalla vicenda, soprattutto trattandosi di fatti così delicati come quelli affrontati in questa sede. Tuttavia la posizione della Lipstadt non appare mai motivata in modo convincente, soprattutto nel confrontarsi con la Arendt, per la quale alterna stima e critica. Allo stesso modo la sua posizione dei confronti di Eichmann e del processo appare piuttosto incerta, pur facendo percepire la condanna per il primo ed una generale approvazione per il secondo.  Ed è questo, probabilmente, il difetto principale di un’opera che, a livello di lettura, si rivela agile e anche piacevole ma che, alla fine, rimane troppo vaga, lasciando un lieve senso di insoddisfazione.


  • Genere: Saggistica
  • Altro: Traduzione di Maria Lorenza Chiesara.

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