Vetrina. “Il nodo del suono”
Le “stanze” segrete della poesia di Argia Maina.
In un film di qualche anno fa, dal titolo White Oleander (ispirato a un libro omonimo), una ragazza – la protagonista – racchiudeva i propri ricordi all’interno di quattro valigie dipinte e “arredate” con ciò che la sua mente associava agli avvenimenti trascorsi. La memoria diveniva una stanza chiusa da due cerniere, un caos messo in scatola da portare con sé oppure, meglio ancora, riporre in un angolo.
Leggendo Il nodo del suono di Argia Maina, breve (ma preziosissima) raccolta di poesie pubblicata da ‘round midnight edizioni, si ricava la stessa sensazione: quella di entrare in posti chiusi, privati e soprattutto passati, scartabellando fra le vecchie pagine che ne rappresentano l’archivio e restituiscono l’eco.
Ma, come il frutto viene dall’albero, il procedimento con cui l’autrice racconta di aver scritto le sue composizioni è simile alla stessa discesa nel ripostiglio compiuta dal lettore quando decide di seguire i suoi versi: Argia Maina trae ispirazione dall’ascolto di alcune musicassette, supporto fuori dal tempo – dal nostro – e proprio per questo in grado di dare forma a un codice di suggestioni e sensazioni universalmente condivisibile. E – cosa che non esclude affatto quanto appena detto – straordinariamente personale.
De Il nodo del suono stupisce l’assenza di retorica con cui è restituito il trompe l’oeil che unisce la visione dell’intimo a quella del pubblico: dal ritratto partenopeo de La mia piccola Babilonia – “Impreca madonne celesti / cala cesti dal terzo piano” – all’introspezione di Chet – “La borsa rovesciata sul / pavimento / vomita oggetti e ne rivela il / senso / come i lineamenti di certi visi” – lo sguardo s’alterna fra interni ed esterni come nelle facciate malinconiche dipinte da Hopper. Argia Maina costruisce un discorso originale che pure ricorda, nei suoi vari incipit, la ‘maniera’ di Eugenio Montale – “Hai gli occhi di chi ha attraversato la nebbia”, che ripete il titolo nei primi due versi – e, per quanto a un livello solo superficiale, gli scenari à la Vasco Brondi – “Gli sbuffi della centrale / elettrica / incorniciano binari morti”.
Nel suo viaggio sui fondali della memoria musicale, chi scrive ha raccolto un mondo segreto, una visuale precisa e unica – “33 giri a vuoto per spiegarti / che / la posta non va letta nei / giorni di festa / e le nubi non vanno guardate / dal verso giusto” – che arriva ai potenziali lettori in veste di dono. Da conquistare, scartare e custodire con cura assoluta.
- Genere: Poesia