Vetrina. “Effetti collaterali di una stanza in affitto”
Nove racconti d’amara lucidità, scritti da Matteo Pioppi per la Bébert edizioni
Sono uno, nessuno e chiunque i protagonisti della serie di racconti curata da Matteo Pioppi per la Bébert edizioni. Nove narrazioni definite Effetti collaterali di una stanza in affitto, nude e nere come la copertina che le protegge, il cui unico guizzo di colore è rappresentato dalla figura a intermittenza di Ruben, giovane reietto urbano fin troppo cosciente della propria condizione.
Non meno importante dei suoi personaggi, in cerca di un cuore come di un distributore funzionante, è la scenografia di Effetti collaterali, parte di una messinscena che non trascura la realtà nemmeno per un istante: lo sfondo grigio di un nord Italia popolato dagli assenti, pregno di una devastazione fisica e morale descritta per associazioni istintive, come nelle visioni musicali di Vasco Brondi, alla cui scorrevolezza contribuisce in larga parte la prosa rabbiosa e viscerale dell’autore.
Forse non è del tutto un caso che il libro di Pioppi richiami alla mente “Le Luci della Centrale Elettrica”: dalla struttura alla scrittura stessa, infatti, Effetti collaterali reca in sé una certa, familiare musicalità sboccata, un crescendo che non raggiunge mai l’acme ma che borbotta finché sente il bisogno e la voglia di suonare, riservandosi di creare, nel frattempo, il proprio sistema interno di ritorni e ritornelli. Così avviene che l’apparente casualità di un titolo – come quello di uno dei brani migliori del libro, L’uomo approssimativo – faccia deflagrare il suo significato nel mezzo o anche al termine dell’episodio narrativo cui è stato assegnato. Ma è soltanto un indizio, un frammento di senso fra macerie di sensazioni sparse ovunque, consegnato ad uso e abuso delle capacità interpretative del lettore. Che potrà perdersi, trovarsi o rispecchiarsi – essere nessuno, uno oppure uno dei tanti – a seconda del grado di distanza dallo scritto cui sentirà d’appartenere. Perché l’impetuosa ed estenuante corsa fatta da Pioppi verso la disillusione, e a seguito di quest’ultima, parte già con la consapevolezza di avere poca compagnia, se non d’essere totalmente sola. È, questo, il probabile scotto di colui che ha scelto, per natura o per ragione indotta, di immergersi anima e corpo in una sfida cognitiva per molti aspetti simile ad un percorso iniziatico; a fare il suo ingresso nel labirinto (senza facile uscita) della comprensione – un doloroso e progressivo risveglio di cui Le voci a volte sono troppe rappresenta una perfetta sintesi. Probabilmente, l’effetto propriamente collaterale di una stanza in affitto è questo: il vivere (e il raccontare) in quello spazio-tempo liminale, oscuro, racchiuso fra l’attimo della realizzazione e quello, mai afferrato, dell’accettazione. La lucidità di chi scrive “abbiamo vite sentimentali precarie perché facciamo vite precarie, sia lavorative che esistenziali. E tutto questo vortice non fa altro che approssimare le nostre esistenze rendendole di gomma”; la lucidità di chi scrive questo, può far bene solo a coloro che sono in grado di gestirla.
- Genere: Narrativa italiana