Vetrina. “Dettato”
Sergio Peter tenta l’impresa impossibile della riscrittura della vita interiore, donando al suo esordio i vantaggi e i limiti dell’ermeticità.
Inaugura la collana di narrativa della casa editrice Tunué, assieme a Iacopo Barison e il suo Stalin + Bianca, il breve Dettato di Sergio Peter. Autobiografia di un paese, ma soprattutto di un’infanzia (prima) e di una crescita (poi), il libricino di Peter costituisce un piccolo viaggio in un territorio ignoto e nebbioso quale può essere l’identità e la sua ricostruzione.
Non è facile da dire, né da capire: a chi si aspetta che la linearità fra le cause e gli effetti venga ristabilita, Dettato lascerà un vuoto confuso. Nessuna storia nel senso tradizionale nel termine, se non quella personale restituita in tutta la sua complessità, di significato e di forma. L’io antico e l’io presente dialogano sulla pagina al pari che in una mente impegnata a rivisitare il passato: «ovunque io vada, pensavo, mi sembra d’essere fuori luogo» è una fra le sentenze che segnano il percorso di una fragilità infantile rivissuta da e nell’adulto; una fra le poche cose che restano impigliate nella rete della memoria di chi legge, colpito e spesso sovrastato dal continuo e frastagliato flusso di pensieri prodotto dalla forza sperimentale di Peter.
Il desiderio di rimettere insieme le spore sparse delle proprie origini si sovrappone, qui, a una voglia, tanto innata quanto anacronistica, di ritorno al rurale: con una voce che simula la semplicità dell’innocenza, l’io narrante di Peter arriva a domandarsi come mai le campane hanno smesso di muoversi per suonare, come mai i loro rintocchi adesso sono immobili. Se lo chiede con la stessa, apparente semplicità che ammanta il suo racconto – fatto a noi come a se stesso – della morte di suo padre, del quale è poi ricomposta la genealogia tramite una giostra di nomi e cognomi così vorticosa da stordire (e sfuggire).
Ma è anche e soprattutto la magia della ritualità pagana a prendere forma, ad occupare un posto di rilievo: nella vallata del “profondo Nord” dove giacciono Grandola e i suoi campi, dove per dire addio all’inverno si bruciavano fantocci, il vero incantesimo è realizzato dal contatto fra gli uomini e l’ambiente naturale. Un contatto fatto di rispetto, ricordato e descritto con puntuale nostalgia dalla prosa poetica di Sergio Peter, dal suo tono popolare puntellato di dialetto al punto tale da divenire oracolare. Proprio com’è quel “ritmo interno del tempo”, che tutto ispira, qui riprodotto fedelmente, e forse proprio per quest’ultimo motivo troppo faticoso da tenere, da seguire, da legare lettore e scrittore in un canto veramente comune.
- Genere: Romanzo; autobiografia