Verso ottobre a passo di danza: a Reggio Emilia la V edizione del NID Platform
Alcuni stigmi, non importa se e quanto comprovati nei fatti e nei dati, continuano sempre a far echeggiare i loro piccoli bisbigli, quando si tratta di linguaggi performativi. Sulla danza, la leggenda popolare recita: inaccessibile, incomprensibile, difficile, iper-concettuale, per pochi, per chi già la capisce, per chi già la fa professionalmente, o quella russa o il saggetto amatoriale, la contemporanea solo per gli addetti al settore, qualche grande nome e il resto è magma indistinto. Progetti molti, ma amati, promossi e cavalcati da chi, comunque, è già coinvolto, con qualche “imperdibile” che di sicuro c’è ma, sempre, per pochi. Se questa la diceria, fuori dal mito la realtà è però per fortuna molto più variegata, molto più accessibile e meno romanzata di quanto la si voglia leggere. Negli stessi termini della “leggibilità” di una delle discipline che più coinvolgono un sentire, oltre che tecnica, virtuosismo e senso, il percorso intrapreso dalla New Italian Dance Platform – abbreviata in NID Platform – sembra rivolgersi con decisione e convinzione proprio in un’altra direzione, che è quella della riemersione di un terreno altrettanto variegato, accessibile e vivo in cui mettere in relazione e dialogo coreografi, danzatori, operatori e spettatori su di un piano comune: quello di illuminare il mondo della coreutica contemporanea a tutto tondo, coinvolgendo tanto la comunità quanto le istituzioni, confermando in questo modo anche la volontà di rilanciare e mettere in primo piano la danza come territorio ancora da scoprire e illuminare agli occhi di pubblico e teatri, per favorirne conoscenza e circuitazione. Moltissime le realtà già note a livello nazionale che si sono succedute sui palchi della città di Gorizia nella scorsa edizione del 2017 (solo alcuni fra i molti nomi sono CollettivO CineticO, Marco D’Agostin, Fabrizio Favale, Roberto Castello) e per la V edizione del NID Platform, prevista per il prossimo ottobre, la scelta è ricaduta sulla città di Reggio Emilia. Nella natura composita e strutturalmente polifonica di tutto il progetto, abbiamo lasciato che fossero tre le voci a rispondere alle nostre domande su quegli che sono stati gli intenti iniziali e quella che sarà l’articolazione futura di questa finestra sul mondo della danza contemporanea che è il NID – Platform: il direttore di ATER Roberto Giovanardi, il direttore della Fondazione Nazionale per la Danza/Aterballetto Gigi Cristoforetti e il direttore della Fondazione I Teatri, Paolo Cantù.
Quando nasce la NID, e quali sono le spinte che hanno portato alla nascita e allo sviluppo di questa piattaforma?
NID Platform nasce nel 2012 per volontà della Direzione Generale dello Spettacolo dal Vivo del Ministero dei Beni e delle attività Culturali e degli operatori della promozione della danza, riassunti nell’associazione ADEP – AGIS, che riunisce i promotori della danza nazionale. Il bisogno originario è nato dal constatare come agli spettacoli italiani manchi tradizionalmente una giusta visibilità, sia sul piano nazionale che internazionale. Quindi, è dal ripercorrere pratiche già consolidate nel settore a livello internazionale che si è deciso di costruire un appuntamento biennale, che favorisca la diffusione sempre più ampia e la conoscenza delle creazioni dei coreografi italiani.
Sede di questa nuova edizione del NID – Platform sarà Reggio Emilia, dopo essere stata ospite delle regioni Puglia, Toscana, Lombardia e Friuli Venezia Giulia. Quali sono le ragioni di questa scelta e le linee di continuità – o di discontinuità, in un’ottica concertativa in crescendo – che ci si aspetta rispetto alle edizioni precedenti?
Roberto Giovanardi, direttore di ATER: A ragione, si può dire che il fatto che la NID Platform si faccia a Reggio Emilia sia la logica conseguenza di un posizionamento di questa città e di questa Regione rispetto a scelte che vanno indietro di alcuni decenni, rivolte alla valorizzazione della danza come promozione, come produzione, come rassegne e festival e come azione diffusa sull’intero territorio. Reggio Emilia da oltre quarant’anni è considerata una “capitale della danza” e punto di riferimento per tutto quanto attiene a questa arte. Vanta di sicuro alcuni punti di forza: la favorevole dislocazione di ben tre spazi teatrali attigui e particolarmente attrezzati per la danza (Teatro Romolo Valli, Teatro Ariosto e Teatro Cavallerizza), la presenza di un Centro Nazionale di Produzione (FND Aterballetto) con spazi e tecnologie d’avanguardia, cui si aggiungono anche la fermata della stazione Medio Padana dell’alta velocità ed una logistica accogliente. La continuità è rappresentata dagli obiettivi primari che l’RTO (Raggruppamento Temporaneo degli Operatori) di ADEP ed il Ministero intendono perseguire per la promozione e valorizzazione della danza italiana in Italia ed all’estero, potendo contare sul prezioso supporto della Regione e del Comune di Reggio Emilia. Gli elementi di novità sono rappresentati essenzialmente dalla presenza di nuove proposte dei quattro Centri Nazionali della Danza e dagli Open Studio, vale a dire progetti di nuove produzioni ancora in fase pre-debutto illustrati in brevi esposizioni agli operatori italiani e stranieri. Resta la importante rassegna di spettacoli selezionati dalla giuria composta da esperti italiani e stranieri. Quindi quattro giorni di full immersion nel panorama attuale della danza italiana arricchito anche da incontri, conferenze tematiche e incontri-aperitivo con focus specifici sulla Danza Urbana (a cura di Anticorpi Emilia Romagna) sulla danza inglese e canadese.
Finora quale tipo di visione ha mosso la selezione delle compagnie ospiti nelle varie edizioni? Sono stati prediletti dei criteri di varietà ed esplorazione all’interno dei vari linguaggi e declinazioni della danza o si è ricercato un fil rouge tematico che potesse costituire una sorta di mappa per lo spettatore?
Gigi Cristoforetti, direttore Fondazione Nazionale della Danza: Per rispondere bisogna tenere conto di due fattori. In primo luogo la NID vuole essere – per volontà del Ministero Beni e Attività Culturali e dell’RTO, ovvero le due istituzioni che stanno alla base della filiera progettuale – una finestra sulla diversità della produzione italiana della danza con, certamente, un occhio di riguardo per quegli autori e coreografi che sembrano più ricchi di potenzialità, ma senza trascurare quelli affermati. La novità dell’istituzione ormai consolidata dei Centri di produzione (oggi quattro) permette di mettere a sistema questa articolazione dello sguardo. Grazie a questa novità, la programmazione risulta più leggibile nelle sue tre aree: non solo i Centri di Produzione e le compagnie, ma anche quelli che abbiamo definito Open Studios, e cioè progetti più o meno sviluppati, e non ancora spettacoli. Il secondo fattore è naturalmente la commissione di selezione, con membri nazionali e internazionali, che naturalmente esercitano il proprio gusto e la propria visione, pur nel rispetto degli equilibri ai quali si accennava.
Infatti proprio la presenza dei quattro grandi centri di produzione della danza (DANCEHAUSpiù, Compagnia Virgilio Sieni, Compagnia Zappalà Danza – Scenario Pubblico e la Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto), accanto agli “embrionali” Open Studios, è un grande punto di innovazione. Che valore ha per il NID la proposta di questo accostamento che mette i “grandi” accanto ai “piccoli” (ovviamente non nei termini delle “dimensioni” della qualità artistica)? Cosa ha portato all’esigenza di introdurre questo elemento di novità rispetto alle passate edizioni?
Gigi Cristoforetti, direttore Fondazione Nazionale della Danza: Il desiderio delle istituzioni, dei promotori e degli organizzatori è stato d’introdurre alcuni elementi che ampliassero il quadro di lettura del sistema della danza nazionale. Si tratta sia d’innovare il formato già sperimentato in quattro edizioni quanto di ripercorrere formule già presenti in altre e più longeve vetrine internazionali, dove la diversificazione dei formati di presentazione permette agli osservatori e agli addetti ai lavori di cogliere maggiori opportunità e diversi livelli di un sistema ramificato. In questo senso l’accostamento tra Open Studios e Centri di produzione alla sezione “storica” della programmazione permette di approfondire il livello di analisi del mondo della danza nazionale.
Nelle intenzioni del NID sembra esserci anche la volontà di essere il fulcro di un processo che coinvolga a raggiera molteplici piani: quello del pubblico, nel recupero di una dimensione di collettività e apertura, e quello della scena internazionale non necessariamente limitata ai confini italiani. Attraverso quali iniziative si punta a mandare avanti questo approccio che guarda a più livelli contemporaneamente?
Paolo Cantù, direttore Fondazione I Teatri: Su tutti questi piani, la NID rappresenta un’opportunità. Proprio perché guarda al mondo della danza e al mercato, guarda al pubblico, guarda al territorio nel suo complesso. È pensata come una grande festa, che accoglie operatori, giornalisti, appassionati chiamati ad assistere al meglio della scena italiana: ma può diventare volano turistico, un valore aggiunto in una dimensione di promozione territoriale; infine, tramite il coinvolgimento di programmatori internazionali, prova a raccontare la danza italiana al resto del mondo, e – di conseguenza – a creare occasioni per promuovere, diffondere e distribuire il lavoro della Compagnie italiane anche all’estero.
Ad oggi la danza sembra ancora fra le discipline più lente a raggiungere il pubblico, e spesso nel contesto italiano si lamenta l’inefficienza di festival e rassegne nella promozione effettiva degli artisti e dei loro lavori. In che modo il NID ha cercato negli anni di colmare questa sorta di lacuna?
Roberto Giovanardi, direttore di ATER: La NID cerca (ma in parte è già riuscita nell’intento) di trovare altri partner, altri operatori italiani e stranieri da affiancare a quelli che nel corso degli ultimi anni hanno cominciato a credere nelle potenzialità della danza italiana. Non è il pubblico che deve essere stimolato, quello già c’è. L’interesse per la danza non è mai venuto meno, anzi, si può tranquillamente dire che sia sempre crescente. È la categoria degli operatori, dei direttori, di chi dirige teatri e festival che va sensibilizzata e portata ad osare e credere di più in questa arte e nella produzione italiana. L’auspicio, anzi, la convinzione, è che si possa fare e con buona soddisfazione per tutte le parti in causa.
Questa V edizione si sposa anche con il Festival Aperto promosso dalla Fondazione I Teatri, secondo una logica ideale che riporta le varie declinazioni delle arti performative a dialogare fra loro. Che significato ha rilanciare su questo tipo di sinergia?
Paolo Cantù, direttore Fondazione I Teatri: La città di Reggio Emilia è storicamente territorio fertile, per la danza e per la performatività contemporanea, e il Festival Aperto nasce e cresce già con l’obiettivo di mettere in dialogo le diverse arti performative. Una vetrina straordinaria per la danza italiana, quale è la NID, trova nel Festival Aperto di Reggio Emilia una collocazione ideale e la possibilità, qui, di innescare un ulteriore circolo virtuoso tra dimensione internazionale, contemporaneità e contaminazioni.
Quali passi possono ancora essere compiuti per riavvicinare il linguaggio della danza a un pubblico sempre più ampio?
Gigi Cristoforetti, direttore Fondazione Nazionale della Danza: Il tema mi ha molto affascinato da direttore di vari festival, e continua ad interessarmi. Un aspetto fondamentale è di sicuro questo tipo di articolazione dei programmi presentati, per toccare ambiti di pubblico differenti; ma sempre abbinata ad una leggibilità franca e sincera di cosa si propone. Affiancare in una programmazione “spettacolare” (si passi il termine) ad appuntamenti di nicchia e di ricerca senza che siano nello spazio giusto e con la presentazione più precisa possibile, è controproducente per tutti, e soprattutto, per gli artisti. Il secondo tema è più delicato: ci si può innamorare degli artisti o del pubblico, raramente di entrambi. Comunque sia, la scommessa risiede nella ricerca dell’equilibrio giusto per l’inizio di un progetto e nella sua trasformazione progressiva, ascoltando molto e rinunciando a esprimere soltanto il proprio gusto. Questa è la mia visione, ma è anche l’obiettivo condiviso delle varie NID, che una dopo l’altra hanno percorso questo cammino. Senza scordare però che si rivolgono anche, e forse ancor di più, ai programmatori che potrebbero comprare gli spettacoli.