#UovoFestival. Laurent Chétouane // M!M + Cristina Rizzo // BoleroEffect
A Milano, abbiamo fatto un salto al Uovo Performing Arts Festival.
Si è conclusa la tredicesima edizione del Festival Uovo che ha avuto luogo dal 25 al 29 marzo al Teatro Franco Parenti di Milano, con la collaborazione della Fondazione Adolfo Pini, il Mudec e il DiDstudio. Presentate 8 prime assolute, 2 prime italiane.
Apre il festival l’atteso M!M, sala gremita per la prima italiana dell’ultimo lavoro di Laurent Chétouane, coreografo tra i più controversi del teatro contemporaneo tedesco. Con M!M Chétouane lavora sul concetto di spazio partendo dal testo Politiche dell’amicizia di Jacque Derrida, un lavoro che ben interpreta il focus del festival sul “confine” fisico e territoriale, inteso come capacità di porre lo sguardo oltre e ricercare uno spazio alternativo. Così come fanno i due danzatori in scena, Matthieu Burner e Mikaek Marklund: il movimento prodotto appare un vorticoso ballo di coppia nel quale, come in una staffetta, il gesto di uno apre al movimento dell’altro, prima piccolo e accennato poi più ampio e aperto. Nel cercare un punto di contatto e condivisione i due interpreti scrutano e studiano delicatamente lo spazio, per individuare un luogo dove abitare insieme la scena. Un passo a due di una delicatezza mirabile, che soffia sul cuore dello spettatore, perso con lo sguardo in quei corpi leggiadri.
Anche in BoleroEffect (Rapsodia_The long version) di Cristina Rizzo, troviamo una coppia in scena, stavolta al femminile. Coreografa esperta, continua a lavorare anche in questo spettacolo, prodotto dalla Biennale Danza, sulla sperimentazione tra corpo e indagine teorica. Partire dal bolero di Ravel e rovesciarlo, destrutturarlo completamente, invitando lo spettatore a vivere un’esperienza emozionale coinvolgente e sperimentale. Una partitura fisica “disco-tropical” giocata sulla linea del dj set live dj Simone Bertuzzi aka Palm Wine, elemento forte se non predominante della scena. Un esperimento totalmente convincente dal punto di vista del coinvolgimento emozionale, quello più puro e istintivo, meno dal punto di vista dell’appagamento dello sguardo. Il corpo delle due danzatrici, la stessa Cristina Rizzo e Annamaria Ajmone, si libera seppur in una coreografia rigida e poco dinamica. Se inizialmente risulta bello il gioco tra le due di sentire e vivere due ritmi differenti e non compiere mai lo stesso gesto se non nelle parti all’unisono, a un certo punto della performance l’attenzione e il sentire sembrano soffermarsi sui bassi prodotti dal deejay più che dai movimenti a tratti ridondanti dei corpi in scena. Riuscito l’obiettivo di creare un crescendo emotivo forte, un escalation di vibrazioni che ha portato il pubblico del Teatro Franco Parenti verso la fine della performance a sentirsi libero di interagire e partecipare applaudendo e “ballicchiando”. Riprodotto in uno spazio aperto e circolare la performance avrebbe sicuramente incrementato questo suo aspetto tattico ed epidermico e sciolto i muscoli anche dei più timidi. Un impianto fisico e sonoro ben strutturato e coordinato dalle inaspettate cesure luminose, o meglio dalle improvvise luci stroboscopiche che, di colpo, annullano la ridondanza dei gesti e aprono al mondo ipnotico e schizofrenico della danza folle.