Uno, nessuno, centomila “Natale in casa Cupiello”
Natale in casa Cupiello è la metafora della disgregazione e allo stesso tempo del ricomponimento del nucleo famigliare. La famiglia è quel posto in cui, anche a Natale, possono volare i piatti pochi minuti prima di banchettare. Si piange e si ride, si litiga e si perdonano, per la maggior parte delle volte, persino gli errori più gravi. Il teatro di Eduardo De Filippo, a 120 anni dalla nascita del grande drammaturgo napoletano, è vivo più che mai come il sentimento del contrario pirandelliano cui lo stesso Eduardo, spesso, s’ispirava. La versione televisiva per la regia di Edoardo De Angelis andata in onda su Rai 1 il 22 dicembre (e disponibile sulla piattaforma RaiPlay) ha sicuramente il pregio di averne veicolato la conoscenza anche a tutti coloro che probabilmente non lo avevano ancora mai incrociato sul proprio cammino, come per esempio i giovani della generazione Z (i nati dopo il 1995), che se non hanno fatto esperienza diretta della visione del film, magari ne hanno annusato l’essenza per il tramite dei social network.
La redazione di “Scene Contemporanee” ha riflettuto, con totale libertà di approccio, sul significato di questa operazione.
Trasporre Eduardo sul piccolo schermo: una sfida coraggiosa vinta in partenza
di Simone Sormani
La trasposizione cinematografica di Natale in casa Cupiello di Eduardo, andata in onda sulla Rai lo scorso 22 dicembre, ha diviso in due l’opinione pubblica tra gli affezionati all’iconica edizione televisiva del ’77 e questa, firmata da Edoardo De Angelis e interpretata da Sergio Castellitto e Marina Confalone. Il lavoro, prodotto da Rai Fiction si inserisce in una stagione di riscoperta del grande drammaturgo napoletano attraverso il mezzo cinematografico, inaugurata da Il Sindaco del Rione Sanità di Mario Martone, che potrebbe rivelare presto nuovi e sorprendenti sviluppi.
Ancora un volta ci si chiede se sia possibile far rivivere, in forme nuove, il teatro eduardiano, uscendo fuori dai canoni scenici e linguistici fissati nella memoria collettiva dal Maestro. Con una difficoltà in più: Natale in casa Cupiello è un’opera che ha ormai un carattere rituale più che teatrale. Come il presepe, tanto amato dal protagonista Lucariello, tiene compagnia alle famiglie, riunite attorno al focolare domestico televisivo per rivivere le esilaranti e sfortunate vicende di una misera casa napoletana nei giorni del Santo Natale. In quel racconto, in quei personaggi, in quelle battute ormai conosciute a memoria, c’è sicuramente una parte di ognuno di noi. Già questo elemento rende la misura del coraggio mostrato dal regista e dagli attori nel riproporre, in veste cinematografica, il capolavoro eduardiano. Del resto, Natale in casa Cupiello non è solo un “pezzo” della tradizione natalizia, né può essere legata esclusivamente all’interpretazione che ne faceva Eduardo. Se così fosse, sarebbe un’opera morta con lui.
Sollevato, invece, il velo di quella comicità tanto cara al pubblico e spogliata della ritualità, di quella straordinaria alchimia che si veniva a creare tra questo testo e il suo grande autore e interprete, Natale in casa Cupiello torna ad essere un tassello della commedia umana raccontata dalla drammaturgia eduardiana, la storia tragica di un uomo che si rifugia in uno stato aurorale e fanciullesco (simboleggiato dal presepe) per sfuggire allo sfacelo di un mondo in rovina, in preda alla caduta di valori dominanti che si traduce in un’incomunicabilità tra le generazioni.
In questa tragedia il Luca Cupiello di Castellitto si muove con un passo consapevole e disilluso, lontano dal candore e dalla purezza del Lucariello eduardiano, ma assai vicino all’Eduardo uomo e autore e alla sua capacità di delineare personaggi spigolosi. È cupo, a tratti beffardo, è un uomo che si sforza di restare bambino giocando con le statuine del presepe per continuare a inventare storie e credere in qualcosa di utopistico e irrealizzabile se non nel sogno. È solo in questo gioco che riesce a recuperare quell’armonia perduta nei rapporti famigliari e con la realtà circostante.
In questo contrasto stridente, sottolineato dalla fotografia che indugia spesso sul variopinto presepe di casa Cupiello, c’è forse tutto il senso della trasposizione televisiva di De Angelis, che si distingue inoltre per la bellezza delle immagini e la raffinata compostezza degli interpreti (su tutti i già citati protagonisti Sergio Castellitto e Marina Confalone, insieme ad Adriano Pantaleo, Tony Laudadio, Pina Turco, Alessio Lapice e Antonio Milo) e che, pur rinunciando in parte alla verve umoristica dell’originale eduardiana riesce, come quella, a far riflettere ed emozionare ancora.
Questa non è una recensione (o forse sì)
di Renata Savo
Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo è come il presepe. Un oggetto ambivalente, sacro e profano insieme. Non un semplice classico novecentesco, ma qualcosa che, soprattutto per chi è cresciuto nel Sud Italia, si radica sin dalla tenera età come un archetipo di junghiana memoria.
La commedia dolceamara racconta il Natale di una famiglia, una famiglia normale nella sua imperfezione. Lo fa con immediatezza, come una fotografia o un frammento capace di restituire, attraverso ciò che accade tra le mura domestiche, una realtà sociale nella sua interezza. Nulla di tutto questo, ahimè, s’è visto nella trasposizione televisiva diretta da Edoardo De Angelis. La scrittura di Eduardo ne esce mortificata. Piatta, didascalica, sin dalla scelta di mostrare la neve che cade sulla città di Napoli; che, va bene che siamo in televisione e i mezzi sono diversi – mentre la lingua del teatro si distingue per la sua convenzionalità – ma stride come un fraintendimento drammaturgico. Il gelo su cui si sofferma, con delicata comicità, il testo di Eduardo non è quello che si vede fuori in pieno dicembre. Lo si avverte dentro, è uno stato d’animo. Si coglie nell’incomunicabilità fra i mariti e le mogli, tra il padre e i figli, tra i fratelli, proprio a partire dal primo scambio di battute tra Luca e Concetta, il cui registro è stato completamente stravolto. La regia televisiva sbandiera il freddo all’esterno senza valorizzare l’aspra comicità eduardiana, fatta di ripetizioni, di timbri di voce che scimmiottano i personaggi, di pause perfette, di interiezioni incarnate. Edoardo De Angelis opta per un registro drammatico tout court e dirige Castellitto verso la fisionomia di un personaggio misantropo, incompreso e cupo, la cui comicità somiglia molto di più a quella di un Crozza che fa il verso a De Luca che a quella di Eduardo. Si potrà dire «Non è possibile fare paragoni con il grande Eduardo!». Perché mai? Grandi attori si sono da sempre confrontati con grandi personaggi, sul palco, sul piccolo e sul grande schermo, anche passando attraverso rivisitazioni sperimentali (come non pensare ai numerosi Amleto o al Pinocchio di Carmelo Bene) e quel timore reverenziale dichiarato dallo stesso Castellitto, che ha accettato con umiltà di ricoprire quel ruolo in tutta la sua complessità. Una prova da cui al confronto con il suo insuperabile modello ne esce “sconfitto” ma, di questo ne siamo certi, più per un problema di direzione che di incapacità attorali. Straordinarie, invece, le interpretazioni di Tony Laudadio, perfetto nei panni di Pasquale, e di Adriano Pantaleo, in quelli di Tommaso Cupiello. Pantaleo spicca come il più “eduardiano” di tutto il cast: pur prendendo le distanze dalle storiche interpretazioni della commedia ha dimostrato di essere all’altezza dell’importante e sfaccettato ruolo con un’originalità di sguardo che dona una ventata di aria fresca al carattere del burbero giovane e ribelle alle tradizioni. Sarebbe curioso rivederlo fra una trentina di anni nelle vesti di Luca Cupiello.
Questa, però, non vuol essere una recensione, ma l’opinione parziale di chi rivive ogni anno quelle tradizioni, gli stessi copioni, gli stessi conflitti. Eduardo si è insediato in noi come l’esperienza collettiva del rito natalizio. Da qualsiasi lato osserveremo il presepe, ci sembrerà sempre un po’ meno bello rispetto all’emozione della prima volta.
Un Natale diverso ma ‘o presepe è lo stesso
di Roberta Leo
«Te piace ’o presepe?»: la battuta più famosa di Eduardo De Filippo e del suo capolavoro Natale in casa Cupiello non passa mai di moda, così come il tradizionale presepio che resta per eccellenza il simbolo del Natale anche nell’anno della pandemia. L’ineguagliabile drammaturgo, genio del teatro napoletano, approda su Rai 1 nella versione televisiva diretta da Edoardo De Angelis. Non si tratta di un doppione o una replica di certi sceneggiati teatrali degli anni Settanta bensì di un film pensato per la televisione e per la prima serata degli italiani nel 2020. Atteso e accolto da molteplici critiche e tanto scetticismo, il prodotto televisivo ha fatto audience ma ha anche diviso il pubblico che ha decretato, severo, il suo verdetto: «Eduardo è Eduardo e ce n’è uno solo! I classici non si toccano!». In un momento storico in cui, giorno dopo giorno, si assiste all’ennesima rivoluzione mediatica, non potevamo certo aspettarci di ritrovare il teatro e la comicità eduardiani. Non c’è tempo per le smorfie, le pause. Tutto è istantaneo, immediato. Senza che ce ne accorgessimo il teatro è passato dal palcoscenico allo streaming e lo spettacolo dal vivo è ormai digitale. Comunica con il suo pubblico attraverso schermi di ogni genere. Altro che rottura della quarta parete: la scuola e l’istruzione adesso si chiamano didattica a distanza (DAD), si lavora da casa, lo sport si fa seguendo tutorial su YouTube e ci si incontra su Zoom per l’aperitivo con gli amici. Perché meravigliarsi, quindi, se anche il tradizionale rito del presepio assume una veste diversa? Non per questo si rinnega l’originale. Si fa piuttosto un’opera di alfabetizzazione teatrale. Riuscita o meno, non importa. Ciò che conta è che ci sia ancora la voglia di fare dei tentativi. E mentre si discute sull’utilità di una piattaforma Netflix della cultura, quando basterebbe tornare al vero servizio pubblico con finalità di una televisione pubblica che si chiama RAI (qualcosa ancora c’è grazie a Rai Cultura, Rai5 e simili), la televisione, davanti alla quale le famiglie si radunavano per il Carosello, è ormai fuori moda. Un po’ come i VHS e i DVD. Invece il teatro, che sia di nicchia o popolare, come quello di Eduardo, resta ancora attuale. Ciò che si modifica è lo strumento, il linguaggio. La regia di De Angelis non è che un omaggio, così come le interpretazioni degli attori protagonisti. Le inquadrature e la fotografia si soffermano sui particolari più che sull’insieme, sul singolo più che sul corale. Tutti gli interpreti hanno dato buona prova di recitazione, certamente all’altezza per omaggiare umilmente un grande. Buona quanto basta per riunire una famiglia distratta da personali smartphone su un unico schermo. Un po’ troppo emotional il finale ma, più che di un errore, forse è più giusto parlare di una scelta televisiva. Il Luca Cupiello di Sergio Castellitto parla un napoletano moderno, è un uomo duro che però all’occorrenza sa diventare spiritoso e giocherellone. Il suo accento non è perfetto e le sue smorfie sono diverse. Forse risentono anche loro della pandemia, dell’isolamento di questo tempo. Concetta, interpretata dalla bravissima Marina Confalone, conserva la stanchezza, la vecchiaia e la bellezza di certe donne d’altri tempi. La coppia è più moderna che mai con le preoccupazioni per i figli, ormai irriconoscenti e persi in loro stessi. Tommasino, interpretato da Adriano Pantaleo, è il più napoletano di tutti e resta irriverente come l’originale, un ‘Gianburrasca’ dispettoso che non cede all’autorità genitoriale e rifiuta di mostrare soddisfazione verso il presepio paterno. I suoi contrasti con lo zio Pasquale (Tony Laudadio) non fanno che sottolineare ulteriormente il conflitto generazionale. Tommasino è l’anticamera della nostra gioventù bruciata ma, a differenza di questa, il presepe sotto sotto lo apprezza ancora. L’eco degli zampognari si mischia alle musiche di Enzo Avitabile, anche se a volte risultano in contrasto con le scene cui fanno da accompagnamento. Aderentissima, invece, è Vissi d’arte, la celebre aria pucciniana della Tosca che fa da sottofondo alla disperazione della figlia Ninuccia (Pina Turco), lacerata dal conflitto tra il senso di colpa e la sua passione infedele. È una Tosca moderna, ma anche una Violetta della Traviata (per restare in ambito lirico) che combatte per il suo amore e infrange le regole. La crisi coniugale è il pretesto per mettere tutto sottosopra, per sovvertire regole e schemi sociali, famigliari. La sua interpretazione lascia arrivare al pubblico il suo dolore di donna prigioniera di un grande dittatore sociale. Commuove la sua debolezza, il suo cedere all’amore proibito. Eppure quel peccato sembra l’unico modo per lasciar morire sereno il povero Luca che, in ultimo, si ricongiunge anche con lo scapestrato Tommasino. Infatti, dopo i tumulti familiari che tutti ricordiamo, la natività si ricompone come per magia, ma assume la formazione sbagliata. È il grottesco, il tragicomico che dal teatro si è spostato in televisione.
Già in ambito teatrale il riallestimento di Antonio Latella nel 2016 tinse di noir il testo eduardiano, vestendolo di una fisicità esasperata, di sonorità onomatopeiche e discorsi indiretti che svelavano, inediti, un’introspezione psicologica. Allo stesso modo il film di De Angelis si rifà al classico ma offre una sintesi della famiglia degli anni Cinquanta traspostasi del 2020, con tutte le sue anomalie sociali.