#UnconventionalDate. A San Valentino Giulia Nervi racconta la “singletudine” dei trentenni nel 2020. Un’intervista
Nella graziosa cornice del Club55 di Roma, nell’ambito della stagione Unconventional Date prodotta da WeNeed e diretta da (in o. a.) Francesca Brunetti, Carlo Maria Fabrizi, Vincenzo Nappi e Ludovica Santuccio, va in scena stasera alle 19.30, dopo il successo della scorsa settimana, un’altra replica di Divagazioni ukulelistiche di una single sull’orlo di una crisi di Nervi, spassoso monologo scritto e interpretato da Giulia Nervi. Una serata a tema amoroso, quella di stasera, in pieno mood di San Valentino: intervallandosi con il suo ukulele, l’attrice e cantante romana mette in luce il disagio odierno che tormenta la comunicazione e i rapporti sentimentali e, svelando le tragicomiche situazioni tipiche del femminile, restituisce con ironia l’immagine del mondo reale ingabbiato in quello virtuale, la precarietà e le nevrosi dei nuovi giovani adulti alle prese con la ricerca di una dolce metà.
Ne abbiamo parlato con Giulia Nervi.
Giulia, il tuo spettacolo Divagazioni ukulelistiche di una single sull’orlo di una crisi di Nervi va in scena proprio il giorno di San Valentino. L’amore sembra, quindi, essere il tema centrale ma si evidenzia anche il disagio generazionale nelle relazioni. In che modo i trentenni di oggi vivono questi due aspetti?
Credo che il problema fondamentale di chi si ritrova single “a trent’anni o poco più” (autocit.), soprattutto dopo una storia importante, o una convivenza, sia quello di riuscire a fidarsi di nuovo del genere umano e ad avere lo stesso slancio che si aveva a vent’anni nei confronti dell’amore. Il problema molto spesso (almeno secondo me) è che da una parte c’è la paura di esporsi, impegnarsi e lasciarsi andare, per evitare di subire un nuovo fallimento, e dall’altra sembra esserci come una frenesia a voler collezionare attimi di spensieratezza senza nessun impegno, alimentata anche dai social e dai siti d’incontri, come ad esempio Tinder, che assomigliano sempre di più a dei supermercati.
Lo spettacolo si snoda tra monologhi, interazione con lo spettatore e canzoni. Qual è il contributo che la musica apporta ai tuoi testi?
La musica per me rappresenta un elemento fondamentale in tutto quello che faccio. È un ottimo partner a cui potermi affidare, per rendere ancora più immediato ed efficace il senso di ciò che voglio raccontare e per poter passare da un argomento all’altro e quindi da un’atmosfera all’altra.
Tu sei un’attrice ma suoni anche l’ukulele, tra incursioni jazz, pop e rock. Perché hai scelto questo strumento?
Perché sono una frana a suonare qualsiasi altro strumento! Muovo un dito e tutti gli altri gli vanno appresso! Almeno l’ukulele è piccolo e quindi è più facile da gestire! No, scherzo! Lo trovo uno strumento stupendo: ha un suono che mi mette subito in pace con me stessa e poi è facile e comodo da trasportare!
Credi che i social e i siti d’incontri abbiano contribuito a rendere le relazioni sentimentali sempre più liquide e precarie o li consideri solo dei mezzi di comunicazione che assecondano la brevità del nostro tempo?
Come dicevo prima, credo che i social e le app di incontri ormai siano diventati un po’ dei supermercati e che abbiano contribuito fortemente ad alimentare quel divario che c’è tra la grande sfrontatezza comunicativa usata nelle chat, e, contemporaneamente e paradossalmente, una totale incapacità a gestire i rapporti dal vivo. Inoltre, ti abituano a pensare che non vale troppo la pena soffermarsi su un’unica persona perché magari allo swipe successivo può esserci di meglio.
Nel tuo spettacolo c’è parecchio materiale autobiografico in cui il pubblico riconosce sicuramente il più generale conflitto tra il cinismo dettato dalle delusioni e la speranza che l’amore possa ancora esistere. La tua è un’indagine sociologica fine a se stessa o potrebbe contenere degli spunti di riflessione, una sorta di manuale per affrontare l’amore 2.0?
Diciamo che, ahimè, sono una grande collezionista di delusioni amorose e che per molto tempo, mi sono sentita un po’ la “sfigata” a cui non capitavano altro che casi umani. Quando ho iniziato a raccontare qualcuno dei miei aneddoti, ho capito che non ero la sola a sentirmi in quel modo e che, il fatto che raccontassi le mie disavventure amorose, faceva sentire meno sole anche le persone che mi ascoltavano e che magari avevano avuto dei trascorsi simili. Non penso che la mia sia una missione, né penso di parlare di temi così originali da strapparsi i capelli. Ma mi piace dare voce ad alcune mie riflessioni o alle mie esperienze personali e condividerle, proprio perché dalla risposta che mi arriva, deduco che sono riflessioni ed esperienze che non appartengono solo ed esclusivamente a me. Siamo abituati a doverci mostrare sempre forti, vincenti. Ma ritengo che raccontare le proprie sconfitte e le proprie fragilità sia molto più utile. Perché quando vediamo Paperino che scivola sulla buccia di banana, cade, si fa male e poi si rialza, la volta in cui poi capiterà a noi di scivolare sulla buccia di banana, sicuramente ci farà meno paura perché sapremo già che dopo, nonostante la botta, è possibile rialzarsi. E magari ci rideremo pure su.
[Immagine di copertina: foto di Camilla Mazza]