Arti Performative Mutaverso Teatro

Contro un ‘io ipertrofico’, la follia nel quotidiano. Tino Caspanello racconta il suo “‘Nta ll’aria” in scena a Salerno

Salvatore Cuomo

Fa ritorno a Salerno, a Mutaverso Teatro, uno degli autori siciliani contemporanei di teatro più acclamati: Tino Caspanello.
Tino Caspanello è infatti già stato ospite durante la prima edizione di Mutaverso Teatro nel 2016 con Mari, uno spettacolo diventato quasi leggendario quando nell’estate 2017 per la rassegna ‘TeatrInBlu’ curata dallo stesso Vincenzo Albano a Cetara, paesino della Costiera Amalfitana, è stato riproposto per andare in scena su una tonnara, in mezzo al mare.

Domani sera, 23 marzo, andrà in scena all’Auditorium Centro Sociale di Salerno (via R. Cantarella 22), un altro testo di Caspanello, Nta ll’aria, produzione Teatro Pubblico Incanto di cui sono interpreti Cinzia MuscolinoTino Calabrò e Alessio Bonaffini.

Protagonisti sono due operai al lavoro su un balcone da tinteggiare, e un personaggio fuori dagli schemi che arriva a far capolino nella loro routine. Inizia così una storia narrata tra un bicchiere di vino e un sogno rubato, nella quale le fugaci percezioni quotidiane si ingrandiscono fino a essere trasfigurate in altre esistenze, attraverso le quali è tutto il macrocosmo a rivelarsi. Abbiamo chiesto all’autore e regista di parlarcene.

In Nta ll’aria un personaggio femminile, corrisponde a un l’elemento di rottura, perché infrange, appunto, la monotonia del quotidiano. Come nasce questo tipo di personaggio?

L’intuizione di un testo è sempre intimamente legata a quella dei personaggi. “Intuire un testo” significa anzitutto percepire i personaggi, le loro relazioni con il sé, con gli altri e con il mondo: è una sorta di epifania totale in cui l’apparizione è svelamento di ogni elemento compositivo, che, lungo la strada della scrittura (e successivamente, della scena), troverà un tentativo di realizzazione. La donna di ‘Nta ll’aria è nata insieme agli altri due personaggi, insieme a tutto il resto, concorrendo all’idea generale della storia e imponendosi come un deus ex machina, che porta il caos e poi ricompone l’equilibrio interrotto. La donna che arriva è anima, è aria, è la follia invocata come scarto da percorsi che altri hanno tracciato per noi; ed è soprattutto linguaggio, qui al femminile, che opera una sorta di transizione tra linguaggi cristallizzati dall’usura e dall’abuso. Infine, è anche un omaggio a una donna scomparsa, una “folle”, che qui, dalle mie parti, diversi anni fa, sembrava arrivare da un nulla, improvvisa, e spingerti fuori dalla tua rotta se questa incontrava la sua.

Si può dire che lo spettacolo abbia superato il decennio di vita. Ed è una riflessione “sui condizionamenti che, troppo spesso, ci impediscono di accettare l’altro, il diverso da noi, solo perché la sua diversità rappresenta una minaccia alla nostra presunta normalità”. Come mai il tuo testo, anche a distanza di tempo, ci sembra oggi così attuale? Quali sono i legami che tu trovi al suo interno con il nostro presente?

Se un testo ha una vita sorprendentemente lunga, nonostante a volte le pause, probabilmente ha al suo interno un potenziale comunicativo che rompe la barriera di un “contemporaneo” transitorio o della cronaca, delle mode, per affondare le mani in territori in cui è possibile ancora esplorare archetipi, mitologie, simboli, conflitti mai sopiti, che rinnovano continuamente le domande che ancora oggi poniamo a noi stessi, agli altri, al mondo. Proprio su questi enigmi si tende il filo che traccia una continuità temporale e che permette, ancora oggi, di rivitalizzare uno spirito critico e ri-creativo. Quando il filo si rompe, quando ne perdiamo un capo e il labirinto dilaga, inghiottendoci, allora è la morte della comunicazione, di quella comunicazione che è, anzitutto, strumento di riconoscimento e accettazione di sé e dell’altro. Trovo oggi ancora più tragica l’attualità di ’Nta ll’aria, proprio oggi: tempo in cui un ‘io ipertrofico’ è diventato incubo e labirinto.

Il dialetto di ‘Nta ll’aria è quello della parte messinese della Sicilia: cos’ha di speciale? E nella tua scrittura che forma assume questo dialetto? Si coniuga in modo particolare con l’introspezione dei personaggi?

Ho usato il siciliano soltanto in quattro testi, volevo esplorare anzitutto le possibilità di un linguaggio, che, apparentemente non analitico, per assenze, analizza seguendo altre regole più attente alla comunicazione non verbale. Inoltre il dialetto è una lingua democratica: mancando essa di tecnicismi, di contorsioni linguistiche, mette tutti sulla stessa piattaforma comunicativa. È una bella sfida, perché se il linguaggio, in drammaturgia, è il dato immediato dei caratteri ed è il primo impatto con la loro identità, quando questo è uniforme bisogna, allora, per una più attenta introspezione, costruire il personaggio attraverso altre vie. Per quanto riguarda la geografia dei dialetti siciliani, vista la loro varietà nell’isola, quello messinese è il più simile all’italiano, più pacato nella musicalità, sinusoidale nell’intonazione; “marino”, direi, per contatto con le onde dello Ionio e del Tirreno che bagnano la provincia. Sicuramente, rispetto al suono di altre forme dialettali, lo sento più adatto all’introspezione  o ad una speculazione che, con tutta l’ironia del caso, fa del quotidiano il nostro metafisico.

Cinzia Muscolino, Vincenzo Albano, Tino Caspanello

Qual è il tuo rapporto con la stagione Mutaverso Teatro e, in generale, con l’ambiente teatrale campano? E ci racconti com’è stato portare l’estate scorsa un tuo testo, Mari, su una tonnara a Cetara, nella Costiera Amalfitana?

Rapporto felicissimo con Mutaverso Teatro e con Vincenzo Albano, suo ideatore e direttore artistico. Invitati già a Salerno qualche anno fa per portare Mari, abbiamo avuto anche la possibilità di presentare, in una lettura a leggio, il mio testo Kyrie, che fa parte del volume “Polittico del silenzio”, pubblicato da Editoria & Spettacolo (Casa Editrice che ha pubblicato tutti i miei testi in tre volumi e sta per pubblicarne un quarto). Teatro Pubblico Incanto ha da subito sostenuto e incoraggiato il progetto, ne comprendiamo l’importanza e la vitalità, soprattutto perché agisce seguendo più le pulsazioni del cuore che logiche meno umane. In Campania abbiamo presentato diversi spettacoli, ospitati da realtà molto vitali (Nuovo Teatro Sanità a Napoli, Officina Teatro a San Leucio, il circuito del Teatro cerca casa, Il Teatro Elicantropo).

Grazie sempre a Vincenzo Albano, Mari, sulla tonnara, davanti alla costiera Amalfitana, ha potuto vivere nel suo luogo per eccellenza, dentro la notte e il mare veri, come se accadesse per la prima volta…

Cetara (SA), ‘TeatrInBlu’, 2017

                                                                                                                                      

 



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