Un appello per il teatro “per non diventare una terra di zombie”
Decine e decine di mail sono arrivate in redazione negli ultimi giorni: «A seguito del DPCM del 4 marzo, lo spettacolo xxxxxxx è stato annullato». In una situazione di emergenza e di crisi per tutti i settori, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, su Twitter: «Da oggi in tutta Italia saranno chiusi cinema, teatri, concerti, musei. Una scelta necessaria e dolorosa. Ma la cultura può arrivare nelle case. Chiedo alle tv di programmare musica, teatro, cinema, arte e a tutti gli operatori culturali di usare al massimo i loro social e siti».
Proprio qualche giorno fa, in posta, arriva dal mondo del teatro, settore già normalmente fragile dal punto di vista economico, un appello al quale aderire, rivolto alle autorità politiche, e in particolare al Ministro Franceschini e alla Direzione generale dello spettacolo, “Per non diventare una terra di zombie“.
Lo pubblichiamo di seguito, aderendo all’appello, per pensare, assieme, al futuro del teatro italiano.
Lo firmano i critici Andrea Porcheddu, Massimo Marino e Attilio Scarpellini.
Per non diventare una terra di zombie
Appello
Siamo alla sospensione totale delle attività di cinema, teatri, concerti in tutta Italia, almeno fino al 3 aprile. Decine sono ormai gli spettacoli annullati, e cresceranno nell’ordine delle centinaia nelle prossime settimane. I teatri, grandi e piccoli, fanno il conto dei danni, spesso quantificabili nell’ordine delle migliaia o centinaia di migliaia di euro. Artisti, tecnici, organizzatori, amministrativi sono bloccati, a casa o su posti di lavoro dove non si può lavorare.
Vogliamo dunque esprimere subito una chiara solidarietà al settore, a tutti coloro che operano nello spettacolo dal vivo, agli operatori chiamati a un difficile compito di risistemazione delle stagioni, agli attori e alle attrici che sono stati bloccati nelle loro attività o costretti a scegliere tra gli impegni presi e la paura del contagio, prospettiva che rischia di creare contrapposizioni e spaccature anche drammatiche all’interno delle Compagnie.
Non discutiamo che i provvedimenti siano stati presi dalle autorità politiche, in accordo con quelle scientifiche, con motivate ragioni. La conseguenza, però, è la desertificazione delle città, l’annullamento delle occasioni di sociabilità e di cultura, il chiudere nell’isolamento le persone, accentuando la paura e la paranoia sociale, fino a propagare, oltre a quella del Covid-19, una vera e propria “infezione psichica”.
Se credessimo nell’esistenza di una «Spectre», di un complotto, potremmo vedere realizzato un progetto che abbiamo visto montare per anni: chiudere gli individui nel particulare, smantellare la società, il senso critico, la cultura dell’analisi, del distinguo, della creatività, della relazione, a favore di un’omologazione in nome della paura.
Che cosa si può fare?
Nell’attuale stato di cose, preso atto dell’emergenza e delle decisioni governative, si tratta, però, di pensare al futuro. A quando questa emergenza passerà.
Chiediamo innanzitutto urgenti misure economiche di sostegno ai settori, agli enti e agli individui che operano nella cultura teatrale, in particolare nei comparti più “deboli”, quelli della prosa, della danza, del teatro di figura, del teatro ragazzi e giovani (particolarmente colpito).
Chiediamo un rinforzamento strutturale del Fus, Fondo Unico dello Spettacolo, al fine di garantire non solo l’ammortamento dell’emergenza ma la serenità di poter immaginare le prossime stagioni e le prossime produzioni per il triennio. Inoltre chiediamo un adeguato, concreto, intervento economico, che sia extra-Fus, immediato e straordinario, al fine di sostenere quanti, enti o singoli artisti e lavoratori, operano nel settore spettacolo dal vivo in tutto il territorio nazionale e non solo nelle aree cosiddette di “zona rossa”, fortemente danneggiati dalla chiusura delle sale e dalla interruzione delle attività. Il Fus, infatti, già estremamente contenuto, non può essere il bacino economico da cui attingere economie per contenere l’emergenza attuale.
In tale ottica non possiamo dimenticare la quantità di scene ibride, ovvero tutte quelle iniziative marginali, a metà fra spettacolo, laboratori, pedagogie, letteratura, saggistica, editoria, ivi compresa quella enorme massa di lavoro intellettuale e creativo svolto in pubblico, da autori e autrici, che sono fra i meno tutelati, ma garantiscono con la loro attività una parte cospicua e nevralgica della vita culturale collettiva, e che da questo stop forzato subiranno anch’essi gravi danni.
Un paese senza teatri, senza cinema, senza incontri, senza dibattiti, senza istruzione, o con tutte le attività culturali bloccate o penalizzate, è un luogo che si avvia a una infezione più pericolosa di quella del Covid-19: quella delle menti e delle anime.
Massimo Marino, Andrea Porcheddu, Attilio Scarpellini
[Immagine di copertina: “Separazione” di Edvard Munch]