Cinema Il cine-occhio

Tornare a vincere

Stefano Valva

The Way Back , nome originale di Tornare a Vincere, è un titolo che può contenere molteplici significati ed allusioni, ma di primo acchito fa pensare ad una sorta di riscatto, di rivincita, di risalita da un oblio. E nel contesto del sotto-genere degli sport drama (ove la narrazione è concepita su di una riabilitazione da parte di un atleta celebre, e negli ultimi decenni tale plot è andato in voga) uno dei temi principali è come lo sport possa provocare una spirale di emozioni positive, all’interno della storia di personaggi turbati e complessi.

Se ne l’arte di vincere di Bennett Miller, la realizzazione degli obiettivi è basata sulla creazione di un originale metodo informatico basato su logaritmi statistici, e se nel cult Ogni maledetta domenica di Oliver Stone, il metodo è solamente fondato sull’aspetto motivazionale e mentale, nel nuovo film di Gavin O’Connor, per l’appunto Tornare a vincere, lo sport – in tal caso il basket – non serve solo per il raggiungimento semplicistico della vittoria sul campo, ma anche come una passione che possa dare nuovo slancio alla propria vita, dopo tante, troppe vicissitudini.

Il protagonista è un ex giocatore di basket della propria contea, ossia Jack Cunningham (interpretato da uno schivo e introverso Ben Affleck, che ha già lavorato con O’Connor nel suo precedente lavoro, The Accountant), che inizialmente viene presentato come il classico ubriacone delle zone country statunitensi poiché ha fallito le tante opportunità che la vita gli ha concesso, ed ora lavora come muratore.

Un primo aspetto da sottolineare è che lo spettatore scoprirà man mano le radicate sofferenze psicologiche del protagonista, dalle quali si scatenano gli atteggiamenti scontrosi e malinconici che nella prima parte non sono facilmente comprensibili. È la perdita la vera nemica di Jack, che gli condiziona in negativo il presente e l’immediato futuro; una perdita personale che sarebbe indecoroso menzionare esplicitamente nell’articolo, dato che è per lo spettatore uno degli aspetti più intriganti (anche in relazione allo stile di regia) della prima metà della pellicola.

Spinto da conoscenti esterni, Jack prova – senza apparente motivazione – a riabilitarsi divenendo l’allenatore della squadra universitaria per la quale giocava, ossia i Bishop Hayes. La via del ritorno non gli sarà facile, diverrà la sfida più importante della sua vita, una di quelle che possono rialzarti o distruggere definitivamente.

Il ruolo del basket diviene fondamentale per lo sviluppo della vita del protagonista, perché essendo un gioco di squadra, egli da allenatore, da mentore e da deus ex machina deve relazionarsi con un gruppo di ragazzi irriverenti, estroversi, spesso poco rispettosi, e perciò indisciplinati. Ciò, d’altronde, è anche una delle motivazioni della crisi di risultati del team. E mentre Jack pian piano cerca di crearsi e di abbracciare uno stimolante contesto sociale – non senza difficoltà sportive ed umane – di riflesso la vita privata va ancor di più in decadenza: l’alcool diviene un problema serio (tema dell’alcolismo che si collega in cross-over anche allo stesso Affleck, che ha avuto problemi di dipendenza ed è stato anche in rehab) e i rapporti con i suoi familiari, con i pochi amici e con l’ex moglie si deteriorano.

Quello che riesce a mettere più in risalto il regista è come la vita privata e la condizione psicologica influenzino la vita sportiva, il momento delle gare, l’attimo delle vittorie e delle sconfitte. Lo sport e la vita entrano in simbiosi o si contrastano in base alla condizione mnemonica, ma lo sport può addirittura travalicare la psiche del contesto personale e divenire qualcosa di più, ossia una medicina che possa far guarire da un male perenne, come uno svago che si tramuta – seguendo un percorso tortuoso e lastricato – nel vero senso dell’esistenza. Percorso tortuoso perché il film intreccia per tutto il minutaggio e incessantemente la salita, la discesa e la risalita. La via del ritorno non è un rettilineo autostradale, è bensì una strada di montagna con svariate curve e tornanti, che può avere come capolinea una vetta, maestosa e affascinante.

Queste curve sono i tanti momenti deprimenti di Jack, che un attore come Affleck riesce a mettere ben in mostra – insieme ad una colonna sonora malinconica e riflessiva – accrescendo dunque in svariati momenti il pathos da drama del film, ove lo spettatore non può che farsi coinvolgere.

Perciò O’Connor si serve spesso di primi piani e di brevi piani sequenza che seguono il personaggio alla ricerca dell’ennesima birra, che possa fargli dimenticare tutto, ma che invece ne aumenta la vulnerabilità emotiva. Quindi le inquadrature sono funzionali, sia per una caratterizzazione della psiche del protagonista, sia per una descrizione iconografica della debolezza psico-fisica, e sia per una dinamicità delle sequenze (ben montate) per quanto riguarda le partite di basket, nelle quali si alternano gesti sportivi ed una comunicazione a volte estrema di Jack dalla panchina; la quale altresì diviene esemplificativa per la nascita di un rapporto simbiotico con i ragazzi.

E da tali temi e sviluppi come potrebbe lo spettatore attendersi un happy ending, un epilogo indiscutibile, una risoluzione armonica e fiabesca. Sicuramente non ci può essere, Tornare a vincere entra nella cornice di un cinema che diviene lo specchio di una realtà sociale ed umana; si, è sempre immagine in movimento, chiariamoci, ma è comunque una narrazione esistenziale dalla quale è lecito attendersi un’assimilazione delle sofferenze, più che un annientamento improvviso delle stesse.

Perché se i villain viventi possono essere sconfitti, quelli interni alla sfera mnemonica non sono cestinabili, soprattutto se si tratta di dolori e di perdite talmente forti da mutare sé stessi e il proprio modo di concepire la vita. Quei villain interni no, quelli possono essere solo inglobati in un proprio essere, e come per una sfera sociale degradante, con i disagi si deve imparare a conviverci. Assimilarli non con poca sofferenza nella quotidianità, e farli diventare parte di sé stessi, come un’oscurità da sbattere nel dietro le quinte, ma che è nonostante ciò, presente.

Assimilazione che non è né accettazione, né risoluzione, e né raggiungimento della felicità, bensì è continuare a vivere al meglio che si può, con i propri demoni e le proprie peculiarità, segnati dalle più distruttive esperienze e dagli avvenimenti più drammatici. Tale oscurità, si contrappone ad una luce fortissima, che nel caso della pellicola è lo sport, è il basket, e chi lo vive ogni giorno insieme a te. Una luce così luminosa può farti tornare a vincere e può farti comprendere che dopotutto ne vale la pena di andare avanti.


  • Diretto da: Gavin O'Connor
  • Prodotto da: Gordon Gray, Jennifer Todd, Gavin O'Connor, Ravi Mehta
  • Scritto da: Brad Ingelsby
  • Protagonisti: Ben Affleck, Al Madrigal, Michaela Watkins, Janina Gavankar
  • Musiche di: Rob Simonsen
  • Fotografia di: Eduard Grau
  • Montato da: David Rosenbloom
  • Distribuito da: Warner Bros. Pictures
  • Casa di Produzione: Warner Bros. Pictures, Bron Creative, Mayhem Pictures, Film Tribe
  • Data di uscita: 06/03/2020 (USA), 23/04/2020 (Italia)
  • Durata: 108 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 21-25 milioni di dollari

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