Cinema Il cine-occhio

The Turning

Stefano Valva

Con una carriera nelle videografie musicali e in svariati episodi di serie televisive, Floria Sigismondi torna alla regia cinematografica – dieci anni dopo The Runaways – con una pellicola tratta dal racconto gotico Il giro di vite di Henry James.

The Turning ha in primis, un peccato originale: la produzione era inizialmente orientata su di un progetto differente, un plot diverso ed un altro regista; successivamente si avviò una seconda fase, per realizzare una sorta di horror psicologico, e Sigismondi venne chiamata per la direzione definitiva.

Kate (interpretata da Mackenzie Davis) è una ragazza che riesce a trovare un lavoro da babysitter presso la tenuta di una famiglia aristocratica caduta in disgrazia. Non in disgrazia economica, ma vittima di una tragedia, nella quale due figli hanno perso i genitori in un incidente stradale, ed ora vivono con l’anziana governante. Kate – accettando il posto – entra in contatto con due bambini, dalle personalità complicatissime da gestire (il maschietto è interpretato da Finn Wolfhard, star di Stranger Things e dell’ultima versione di IT diretta da Andy Muschietti; va inoltre menzionata l’ottima interpretazione ne Il Cardellino di John Crowley), e si ritrova anche in uno spazio ambiguo, che diviene una casa degli orrori e degli spettri, dalla quale sarà difficile fuggire.

The Turning può essere definito un esempio di apoteosi e/o di evoluzione di quella che Deleuze definì come immagine-percezione (al servizio non della classica immagine-movimento, ma della moderna immagine-tempo), e dell’immagine-cristallo (l’indiscernibilità fra reale e immaginario). Su quest’ultimo termine, basti pensare – come caso non del tutto in comunanza con la suddetta opera – allo Shutter Island di Martin Scorsese.

Aldilà della descrizione delle immagini (le quali sono importanti per un focus preliminare; eppure, non si può andare tanto oltre la sfera teorica, dato che l’opera sul versante tecnico, offre poco sia di sperimentazione, sia di costruzione complessa ed eterogenea della regia), l’horror non viene utilizzato per sorprendere – tramite il montaggio e il movimento dei personaggi – lo spettatore, bensì per un mutamento costante e degradante della psicologia umana, in un contesto che diviene per la protagonista alienante, perché la porta nel tempo verso la condizione meno auspicabile, ossia la situazione psichica della madre. Quest’ultima, diviene una figura secondaria ma allo stesso tempo chiave, per collegare sia incipit ed epilogo, sia significante e significato dei crono-segni delle sequenze.

La donna in Sigismondi, non è una fervida femminista alla ricerca dell’indipendenza, della carriera professionale, dell’emancipazione più soddisfacente (forse inizialmente si), invece spicca per le debolezze emotive e mnemoniche, ed è condannata ad un destino che è per lo più genetico. La pellicola si affianca al tema dell’inconscio collettivo di Jung, anche se qui l’inconscio non è propriamente quello junghiano delle collettività attraverso i tempi, bensì è basato su storiche maledizioni familiari.

Ogni situazione diviene un espediente per un fine ultimo, che va oltre la classica dinamica di genere. Perché le scene tra il visibile e il non visibile, tra la luce ed un oscurità a tratti totale (che ha il sentore più di un escamotage della rappresentazione figurativ, invece che di una scelta di regia ponderata e funzionale), sono una chiara metafora del punto vista del personaggio in un contesto ansiogeno. che confonde in toto anche lo spettatore sulla veridicità di quello che sente e di quello che guarda.

L’ambiguità della produzione e del progetto non possono che divenire un tallone d’Achille per The Turning, che propone svariate cose senza riuscire a intraprendere una via di per sé delineata, quasi come se smarrisse una spiccata natura, alternandosi tra adattamento del racconto originario, modificazione del genere horror postmodernista, evoluzione di un protagonismo femminile, da contestualizzare nei sentimenti contemporanei.

Il resto delle scene sono condite da una forte incomunicabilità tra i personaggi, i quali sono dei solitari, devono far fronte ai rispettivi problemi e traumi, senza che niente e nessuno possa aiutarli. Poi dalla funzione del cancello della villa, che nella prima parte diviene un ponte fra mondo esterno e spazio cinematografico teatralizzato, quindi invalicabile, come accade in Carnage di Roman Polanski. Nella seconda metà, esso perde l’aura intrigante e misteriosa, e la sua presenza viene snaturata e semplificata.

In superficie, può risultare interessante, invece, il ruolo iconico dei disegni della madre di Kate, che sono i totem per le immagini-cristallo del film, ossia le uniche ed opache distinzioni fra reale ed immaginario, fra percezione e visione, fra punto di vista soggettivo e oggettivo, tra flashforward e flash-sideways. In superficie, perché in profondità – come accennato – The Turning non lascia allo spettatore quella fascinazione e quell’imponenza (a causa anche di una presenza più formale, che di sostanza della scrittura) di un ottimo prodotto horror, che sia o classicista, o modernista, ossia basato su temporalità e psicologia.

Esso è un film metaforicamente in contraddizione già dal titolo, dato che la svolta, se possa esserci più o meno per Kate (anche se non riceviamo un epilogo esaustivo e  delucidante), non arriva invece per la pellicola stessa, bloccata da uno stato di transizione che non la porta né vicina al classicismo, né verso un immaginario contemporaneo, per un nuovo modo di produrre opere gotiche che avvenga anche attraverso un’attualizzazione dei racconti secolari. Notando oggi molteplici produzioni horror, tale finalità sembra diventata sia un’idea da perseguire, sia un bivio, con rispettivi ed opposti traguardi: un’ulteriore evoluzione, o il tramonto di un genere, che nelle piccole forme della storia del cinema ha fatto scuola.


  • Diretto da: Floria Sigismondi
  • Prodotto da: Scott Bernstein, Roy Lee, Seth William Meier
  • Scritto da: Carey W. Hayes, Chad Hayes
  • Tratto da: "Il giro di vite" di Henry James
  • Protagonisti: Mackenzie Davis, Finn Wolfhard, Brooklynn Prince, Joely Richardson
  • Musiche di: Nathan Barr
  • Fotografia di: David Ungaro
  • Montato da: Duwayne Dunham, Glenn Garland
  • Distribuito da: Universal Pictures (USA), 01 Distribution (Italia)
  • Casa di Produzione: DreamWorks Pictures, Amblin Entertainment, Vertigo Entertainment
  • Data di uscita: 23/01/2020 (LAFF), 24/01/2020 (USA)
  • Durata: 94 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 14 milioni di dollari

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