The Rhythm Section
Dopo svariate esperienze come direttore della fotografia (in particolare nell’unica stagione della serie prodotta e creata da Mick Jagger, Terence Winter & Martin Scorsese, ossia Vinyl, ove la “cinematografia” ha un ruolo preponderante, con i colori chiari e sbiaditi che immergono ancor di più lo spettatore nella cornice americana degli Anni ’70), Reed Morano esordisce alla regia sul grande schermo – dopo aver diretto alcuni episodi di serie tv, tra le quali The Handmaid’s Tale e Billions – con una pellicola dal forte stampo femminista, dal titolo The Rhythm Section, la quale è tratta dall’omonimo romanzo di Mark Burnell.
L’approccio da feminist film theory è indispensabile per una delle chiavi di lettura più esaustive e preliminari del film, perché la regista si immerge in un filone commerciale-cinematografico che solitamente descrive le vicissitudini di protagonisti maschili, ossia il film d’azione basato sulla vendetta. La protagonista Stephanie (interpretata da Blake Lively, che molti ricorderanno per aver recitato in Café Society di Woody Allen), infatti, ha perso qualche anno prima i familiari in un incidente aereo, per cause alquanto misteriose. Improvvisamente viene a scoprire da un audace giornalista che la morte della famiglia non è stata per un incidente, bensì per un attacco terroristico che è stato occultato. Tale scioccante notizia farà scatenare in una donna sola, sofferente, debole e dedita ormai ai farmaci e alle droghe, il bisogno di compiere una vendetta puramente personale, per uccidere chiunque fosse coinvolto nella strage.
Seguendo la moda odierna della narrazione a ritroso – anche se nell’incipit la scena che vediamo non è la sequenza finale, ma pur sempre un momento clou del plot – Morano presenta la protagonista già quando è diventata un’assassina professionista (processo avvenuto grazie anche ad un’appropriazione di identità di una killer deceduta), per poi tornare a mesi prima, allo scopo di far seguire allo spettatore il processo evolutivo fisico e psicologico di Stephanie, che sarà sempre in salita, ovvero una montagna da scalare minuziosamente come un alpinista.
Eppure, la vendetta di Stephanie non è né una lotta a tutto il sistema come diviene in Giustizia Privata con Gerard Butler, né un’apoteosi delle sequenze di combattimento, come Liam Neeson in Io vi troverò, ma bensì un processo vendicativo materialistico e non idealistico che non si amplia verso un assunto di pulizia della società e/o del sistema e senza delle sequenze surreali da cinema di entertainment (seppur non manchino scene assolutamente dinamiche, basti pensare a quella meravigliosa dell’inseguimento in macchina a Tangeri, ove lo spettatore viene messo all’interno del veicolo dal punto di vista del lato passeggero, al fianco della protagonista. Ciò fa pensare come al cinema il più delle volte non serva la tecnologia del 3D per far immergere in toto il pubblico nello spazio filmico). La sua è semplicemente una battaglia cruda e sadica contro chi ha causato la morte di buona parte di sé stessa, ossia i suoi cari e la relativa quotidianità con essi.
E se il film è sfacciatamente femminista, ove la protagonista si ritrova a lottare sola contro uomini violenti, pericolosi, e ben addestrati – che rappresentano la cattiveria, la lussuria e la violenza per fini economici e politici – l’uomo d’altronde non viene del tutto emarginato a ciò, bensì è presente anche attraverso la figura del mental coach di Stephanie (un ex agente della MI6 interpretato da Jude Law), il quale la addestra mentalmente e fisicamente nelle lande scozzesi, per prepararla ad una spirale di violenza e di pericolosità enormi in giro per il mondo e farla divenire quello che non è mai stata, purché ella completi l’ardua missione.
Sul versante più tecnico, c’era da aspettarselo che una cineasta nata come direttore della fotografia desse importanza scenica alle luci e ai colori (creati insieme a Sean Bobbitt), che seguono, per l’appunto, di pari passo l’evoluzione del plot: inizialmente la protagonista sembra quasi una figura esteticamente oscura allo spettatore, in quanto Morano alterna delle luci in chiaro-scuro tra interni ed esterni, che rendono Stephanie a tratti difficile da vedere. Successivamente, la luce pian piano sopprime l’oscurità e la protagonista viene raffigurata limpidamente (e anche modificata nel make-up e nell’acconciatura, le quali sono in parallelo anch’esse al mutamento mnemonico) nei panni della nuova identità da spietata killer, come se – attraverso un percorso ascendente – ella fosse risorta dalle ceneri di un’esistenza in deterioramento.
The Rhythm Section nel complesso non è un film sociale, non è un film sulla critica e sulla guerra ad un sistema stratificato, e non è semplicemente sulla lotta di genere, ma è bensì una storia su una fisiologica vendetta, come lo era nel cinema western, dal quale tale sotto-genere dell’action ne ha preso filosoficamente spunto per imporsi nell’immaginario odierno. È la storia di una donna che si fida solo di sé stessa, e che trova la forza nel momento più vulnerabile della sua vita di rialzarsi e di divenire altro, per dare una spietata giustizia ai suoi familiari, i quali sarebbero andati nel dimenticatoio sociale per l’ennesimo mistero irrisolto, poiché scomodo per le istituzioni.
Inoltre, tale prerogativa di ritorsione a tutti i costi non nasce come desiderio di avere finalmente una pace, uno status di appagamento, di serenità, si sa con quelle ferite e con quei demoni ci si convivrà per tutta la vita; ma come semplice assunto di “occhio per occhio, dente per dente”, un sentimento primordiale e pulsante che per Stephanie è impossibile da debellare. Su ciò, ella sfrutterà tutte le potenzialità della donna, in primis due: l’essere in molti casi sottovalutata dal mondo maschile e avere a disposizione una spiccata verve affabulatoria da logica dell’inganno, che in contesti del genere risulta alquanto preziosa.
Se la sezione ritmica nel linguaggio musicale (in primis storicamente nel jazz, il quale svariate volte viene inserito in sottofondo nelle sequenze) è un accompagnamento, una parte defilata ma importante, ai fini di un equilibrio e di una costruzione armonica dell’opera musicale, quella lì di Stephanie è invece la ricerca del suo di equilibrio, quello interiore che – come eseguito dal basso e dalla batteria – possa produrre infine la sinfonia della revenge.
- Diretto da: Reed Morano
- Prodotto da: Barbara Broccoli, Michael G. Wilson
- Scritto da: Mark Burnell
- Protagonisti: Blake Lively, Jude Law, Sterling K. Brown
- Musiche di: Steve Mazzaro
- Fotografia di: Sean Bobbitt
- Montato da: Joan Sobel
- Distribuito da: Paramount Pictures (USA), 20th Century Fox (Italia)
- Casa di Produzione: Eon Productions, Global Road Entertainment, Ingenious, Danjaq LLC
- Data di uscita: 31/01/2020 (USA), 14/04/2020 (Italia)
- Durata: 109 minuti
- Paese: Regno Unito, Stati Uniti
- Lingua: Inglese
- Budget: 50 milioni di dollari