“The Privileged” di Jamal Harewood: quanto si è disposti a lottare per le proprio idee?
Un orso polare sdraiato, o meglio, un attore dentro un costume da orso, un costume di quelli sintetici, scomodi, comprati con due soldi, dorme a lato di una ciotola vuota. È rinchiuso in una gabbia che non si vede ma si percepisce fin dai primi passi sulla scena. Le sedie formano un rettangolo che lambisce il perimetro e ad uno ad uno si siedono gli spettatori evitando attentamente quelle che, sulla seduta, hanno una busta. È a Ferrara Off che è andato in scena il 9 e il 10 febbraio The Privileged di e con Jamal Harewood. Tre repliche, una il sabato e due la domenica, per portare lo spettatore a riflettere sulla società e sul proprio esserne parte come individuo.
Le buste, di cui si accennava sopra, sono il copione di una performance nella quale vi sono due protagonisti: l’attore e gli spettatori, che con le loro scelte influenzeranno l’attuazione. Posta in questi termini potrebbe sembrare un gioco di ruolo, ma ciò svilirebbe la performance di Jamal Harewood capace di leggere alla perfezione le dinamiche che si creano tra gli spettatori. Lo studio alla base di una proposta come questa è enorme, perché pone l’attore di fronte a un numero di variabili maggiore rispetto a una rappresentazione tradizionale, sarebbe normale porre attenzione alle reazioni del pubblico, perché queste possono darti un feedback sullo spettacolo, ma in questo caso è esso stesso a deciderne l’andamento e a creare il canovaccio. Dunque, cosa accade?
La capacità dell’attore di reagire al comportamento degli spettatori è autentica e naturale. Non ci si trova di fronte a gesti improvvisi, maldestramente enfatizzati, ma ad un orso sornione che dimostra tutto il suo affetto da animale domestico. A mano a mano che prosegue la performance, l’orso cambia il suo atteggiamento in base alle reazioni e alle scelte del pubblico diventando schivo o aggressivo. È la comunità a prendere le scelte che daranno una direzione al copione, siano esse democratiche, autoritarie o disobbedienti. Nelle tre repliche andate in scena a Ferrara ci sono state reazioni e finali differenti, eppure ognuno di questi ha smosso in tutti la volontà di porsi delle domande sulla società in cui viviamo, sulla capacità di incidere in essa, sull’utilità della votazione.
In The Privileged i privilegiati sono gli spettatori che assistono quotidianamente alla deriva barbara della società, spesso incapace di trovare soluzioni alla propria indignazione. Quante volte passando davanti a un clochard si è rimasti impietositi o commossi dalla sua sofferenza senza muovere un dito per alleviarla? Quante volte ci si è indignati ma non si è disobbedito di fronte a un’ingiustizia? La performance di Jamal Harenwood mette di fronte a queste e a molte altre domande, senza offrire soluzioni, ma noia in cambio, lasciandoci con la fastidiosa sensazione di un tarlo in testa impossibile da togliere, sommersi in un conflitto esteriore che poi diventa interiore. Quanto si è disposti a lottare per le proprie idee, per i propri ideali? Chi può essere certo che posto di fronte a un sopruso interverrebbe a rischio della propria incolumità? Chi ne è certo? E chi ne è certo, perché non ha avuto la forza di intervenire nemmeno durante la finzione di uno spettacolo?
The Privileged pone noi – i “privilegiati” – di fronte alle proprie colpe, incapaci di andare oltre l’indignazione, incapaci di essere veramente proposta di cambiamento. È un atto di accusa velato perché non punta il dito contro qualcuno che potrebbe chiudersi a riccio, ma impone una riflessione che vuole portare l’imputato ad autodenunciarsi. Non vuole essere una spinta verso una auto-fustigazione collettiva per rimettere i propri peccati, ma un passo verso una coscienza critica dell’io ormai talmente assuefatto a questa società da esserne inconsapevolmente parte, anche nel momento della disobbedienza. Hanry David Toreau e prima di lui Étienne de La Boétie sostenevano che per apportare un cambiamento alla società si debba sottrarle il potere attraverso una fuoriuscita da essa. Ecco, The Privileged ci mette davanti a questa scelta prendendo come campione una quarantina di spettatori. Di fronte ad un sopruso davanti al quale si ha diritto di esprimere un’opinione negativa quanto si è disposti ad andare oltre bloccandolo e quindi uscendo dalla zona di comfort che è l’appartenenza a una società che in fondo tutela quei privilegiati che la compongono?
I primi esempi di disobbedienza dopotutto vengono dal teatro greco, dalla tragedia Antigone e dalla commedia Lisistrata. Due eroine, potremmo dire, che disobbediscono al proprio re e alle norme della società in cui vivono per un bene morale da loro ritenuto superiore. Due protagoniste di opere che ancora oggi, grazie alla loro attualità, fungono da guida per chi le legge o le ammira. Nella performance di Jamal Harenwood non c’è un’Antigone o una Lisistrata ma tante e tanti potenziali disobbedienti. Non c’è una guida, un esempio ma tante persone a cui viene chiesto di mettersi in gioco, a cui viene chiesto se rispondere alla legge sociale o alla legge morale.