Cinema Il cine-occhio

The Hunt

Stefano Valva

Un film che ha destato non poche polemiche in USA – soprattutto sul versante politico – è The Hunt, diretto da Craig Zobel e scritto da Damon Lindelof (celebre showrunner di Lost, The Leftovers e ultimamente della miniserie Watchmen), che in Italia, a causa della pandemia per il Covid-19, è disponibile per la visione on demand dal 27 marzo.

La pellicola – in superficie – è tratta da un racconto inglese del 1924 dal titolo “La partita più pericolosa”, scritto da Richard Connell. Nel libro, un naufrago si ritrova su di un’isola ignota, ove un capo di una tribù è così appassionato di caccia che decide di praticarla anche con gli esseri umani. La trama del film è appunto un po’ quella, perché un gruppo di persone si risveglia – senza apparente motivo fondante – in un bosco, ove comincia una sorta di gioco e di caccia all’uomo da parte di ignoti, e ove gli “ospiti” – seguendo la terminologia del parco divertimenti virtuale di Westworld – devono lottare con le armi per sopravvivere a tale processo barbarico.

Eppure, il movente del gioco non nasce né da esigenze ossessive, come nel racconto di Connell, né da esigenze di divisione delle classi sociali, come in Hunger Games, e neanche per scopi estremamente punitivi per dei peccati, come nella saga horror di Saw – L’enigmista, bensì da prerogative politiche e sociali, ed è proprio qui che si scatena nella post-visione l’acceso dibattito.

Lo spettatore più scrupoloso – e allo stesso tempo lettore – può accorgersi di ciò già nelle sequenze iniziali, ove l’arrivo delle armi messe a disposizione per i “giocatori” è accompagnata dalla presenza di alcuni maiali vestiti da aristocratici. Ciò fa pensare al romanzo La fattoria degli animali di George Orwell, che d’altronde il film non riesce a non citare esplicitamente nella seconda parte. Oltretutto, i maiali sono vestiti, quindi si scardina una delle regole stilate nel racconto orwelliano per la promulgazione dell’uguaglianza, ossia quando si avvia la “rivoluzione” degli animali contro gli uomini. Essendo vestiti – così come accade nel libro – metaforicamente la verve rivoluzionaria è già conclusa, quindi riparte una nuova dittatura, con stavolta a capo proprio i maiali, che per Orwell erano (presumibilmente) gli archetipi della rivoluzione bolscevica di Lenin e Stalin, in pratica un resoconto della storia Russa nella prima metà del novecento.

Uscendo dall’excursus letterario, il film è la creazione di un dualismo – attraverso la costituzione di una narrazione action, con lo spirito modernista di una dark-comedy – tra fazioni dell’America contemporanea non perfettamente esplicitate. Coloro che creano il gioco è un élite, un gruppo di persone dal rilevante spessore pubblico, che cercano di vendicarsi su coloro che ritengono nella nazione come indesiderabili e regressivi: cacciatori, ex-militari, speaker radiofonici, giornalisti. In sintesi la classe media, ovvero personalità che per loro plasmano la mente dei cittadini, promulgando una visione politica distorta e meschina.

Attraverso termini che riprendono alcuni slogan politici, le fazioni del film sono state associate rispettivamente a quelle di Hilary Clinton e Donald Trump, durante le elezioni presidenziali del 2016. Quindi una divisione netta, estrema e sadica tra democratici e repubblicani. Sadico lo è il film stesso, che con delle scene d’azione volutamente crude – volte a rendere una visione di intrattenimento congeniata – sviluppa uno spirito ironico, sarcastico e irriverente.

Eppure, la costituzione delle fazioni non è sempre coerente, spesso si agisce secondo l’homo homini lupus, secondo il mors tua vita mea, che nella maggior parte dei casi diventano le priorità per la propria sopravvivenza, a discapito degli altri, a discapito di un’ipotetica fazione di appartenenza.

Quindi in The Hunt di Craig Zobel i panni sporchi si lavano in famiglia, e gli Americani fanno i conti attraverso la violenza, una cosa non nuova – anzi – nella storiografia degli USA. Perché l’accettazione della diversità e della convivenza sociale attraverso tale diversità, sono dinamiche ancora non del tutto comprese e inglobate, nemmeno nella modernità.

D’altronde, quando si instaura un vortice di violenza, non ci sono né vincitori, né vinti, né fazioni politiche o di qualsiasi altro tipo che prevalgano, esiste solo la regola del più forte, del più addestrato e del più scaltro, a discapito di tutti gli altri, a discapito di chi non ha le armi per arrivare alla fine del gioco ed uscire dallo spazio “ludico”, costruito ad hoc per scatenare il caos.

Vortice di violenza, che viene anche fin troppo iconograficamente estremizzato dalla regia, e che in alcune sequenze travalica un’insensatezza che poteva anche essere evitata, perché rischia di non dare una natura coerente all’opera, che svaria tra il survival, il dramma sociale, fino alla commedia sadica e alle scene d’azione da blockbuster. Tanti pezzi di un puzzle che non riescono a congiungersi del tutto.

The Hunt è una mini-guerra civile – spinta anche dalla logica dei mezzi di informazione, che sono un deus ex machina della distorsione potentissimi – tra chi nel proprio contesto non riesce ad accettare l’altro e trova qualsiasi pretesto per eliminarlo.

È l’unione tra l’ossessione del racconto di Connell, ossia quella pulsione primordiale di annientare chi si frappone nel proprio cammino, e tra la natura della politica del romanzo orwelliano, ove le comunità non hanno altro che una storia ciclica, perché dopo la rivoluzione contro un male sociale se ne può instaurare un altro, ancor più feroce.

La costante è ancora la violenza, condizione necessaria e sufficiente per creare divisioni, disuguaglianze e regressione della civiltà. Violenza come qualcosa di fisiologico, come lo è nella saga de La notte del giudizio, vista appunto come uno sfogo indispensabile per tutti. Violenza, infine, che nasce come un circolo vizioso (e Orwell lo raffigurò in maniera originale e pioneristica) perché da una “rivoluzione” ottenuta con la forza, si costituisce per logica natura un’altra società violenta, come un morbo dal quale è impossibile guarire. Un mezzo troppo semplice e immediato, da non poterlo non utilizzare più; a tal punto, può risorgere anche in un tipo di società, che sembra finalmente e apparentemente civilizzata.


  • Diretto da: Craig Zobel
  • Prodotto da: Jason Blum, Damon Lindelof
  • Scritto da: Nick Cuse, Damon LIndelof
  • Protagonisti: Betty Gilpin, Ike Barinholtz, Amy Madigan, Emma Roberts, Ethan Suplee, Hillary Swank
  • Musiche di: Nathan Barr
  • Fotografia di: Darran Tiernan
  • Montato da: Jane RIzzo
  • Distribuito da: Universal Pictures
  • Casa di Produzione: Blumhouse Productions, White Rabbit Productions
  • Data di uscita: 11/03/2020 (Regno Unito), 13/03/2020 (USA), 27/03/2020 (Italia)
  • Durata: 89 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 14 milioni di dollari

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