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The Father – nulla è come sembra

Alessandro Fiorenza

La nostra identità, nell’età adulta, è il frutto di un insieme di stratificazioni: esperienze, ricordi, scelte, persone con cui abbiamo condiviso un tratto di strada, le emozioni che abbiamo vissuto, tutto si sovrappone fino a definire la nostra personalità, ciò che siamo e di cui siamo fatti. Un insieme che l’incedere di una malattia terribile come l’Alzheimer prende inesorabilmente a sgretolare, come un affresco impossibile da restaurare, i cui resti cadono impattando sulle nostre vite e su quelle di chi abbiamo vicino. Un disfacimento che The Father – nulla è come sembra, opera prima per il cinema del drammaturgo e scrittore francese Florian Zeller (qui anche regista), presenta dalla prospettiva di Anthony, l’anziano protagonista. Tratto dalla pièce teatrale Le père, opera dello stesso Zeller, agli Academy Awards di quest’anno il film ha ottenuto l’Oscar alla miglior sceneggiatura non originale (l’adattamento cinematografico è firmato da Zeller insieme a Christopher Hampton) ed è valso ad Anthony Hopkins il premio come miglior attore protagonista, il secondo in carriera dopo quello ottenuto per l’interpretazione di Hannibal Lecter ne Il silenzio degli innocenti.

Zeller sceglie di raccontare la progressiva perdita di identità del suo protagonista attraverso la fusione di tre elementi chiave: la memoria, lo spazio, e il tempo. Tutto si muove, i ricordi svaniscono, persino quello dei volti più familiari, l’appartamento nel quale si svolge l’intera vicenda cambia continuamente aspetto, e il normale scorrere del tempo sembra riavvolgersi su se stesso. Nella trasposizione cinematografica dell’opera originale, la scrittura mantiene con sapienza gli elementi chiave del teatro per restituire la sofferente soggettiva del protagonista (un magistrale Hopkins) e della figlia Anne (interpretata dalla perfetta Olivia Colman). Teatrale è lo spazio della scena, che si svolge sempre in interno, con pochissime e appena accennate escursioni esterne che servono solo a rimarcare la centralità dell’area delimitata, sottolineando il ruolo centrale dello spazio come un altro protagonista del film. L’esterno, infatti, visto sempre dalla prospettiva del personaggio principale, è in perfetto ordine, fisso all’interno dell’inquadratura, con il negozietto all’angolo e le auto placidamente parcheggiate. L’interno invece si muove, ruota la disposizione delle stanze, muta l’arredamento, cambiano i colori, è insieme scenografia e racconto.  La dimensione rapsodica interagisce con Anthony, e all’interno di essa il protagonista si muove in cerca del suo orologio, l’àncora cui aggrapparsi di fronte a una realtà che non riconosce più. E, allo stesso tempo, una dimensione onirica, che si rivela in tutta la sua potenza in una scena in cui s’intravede un tentativo di omicidio del protagonista (paura del sognatore o desiderio inconscio dell’”assassino”?), porta lo spettatore in un altrove suggerito.

È teatrale l’uso della scena che porta lo spettatore dentro la mente del personaggio, con la scenografia che letteralmente cambia al cambiare delle sue percezioni.  E teatrale è anche l’uso della colonna sonora, curata dal compositore italiano Ludovico Einaudi, che ribalta il paradigma cinematografico della musica che “sostiene” la scena provenendo da una fonte esterna. Qui la musica è parte stessa della scena, e diegetica emerge come strumento che contribuisce a costruire la soggettività del racconto. E d’altra parte teatrali – in particolare estrapolate dal vasto repertorio melodrammatico – sono i brani che il protagonista ascolta in cuffia: dalla sorprendente What Power art thou? dal King Arthur or The British Worthy di Purcell che accompagna i primi minuti del film, alla celebre aria Casta Diva dalla Norma di Vincenzo Bellini, all’altra Je crois entendre encore da Les pêcheurs de perles di Georges Bizet, già indimenticabile sul grande schermo grazie a film come Match Point di Woody Allen (nella versione italiana cantata da Enrico Caruso).

Teatro e cinema in questa opera di Zeller si fondono per raccontare e insieme indagare la dimensione psicologica della maturità, il dramma della malattia mentale, la sua progressiva cronicità, e il fragile inconscio dell’individuo, con un approccio che ne restituisce tutta l’umanità.

 


  • Diretto da: Florian Zeller
  • Prodotto da: David Parfitt, Jean-Louis Livi, Philippe Carcassonne, Christophe Spadone, Simon Friend
  • Scritto da: Florian Zeller e Christopher Hampton
  • Protagonisti: Anthony Hopkins, Olivia Colman
  • Musiche di: Ludovico Einaudi
  • Fotografia di: Ben Smithard
  • Montato da: Giōrgos Lamprinos
  • Distribuito da: BiM Distribuzione
  • Casa di Produzione: F comme Film, Trademark Films, Ciné-@
  • Data di uscita: 27 gennaio 2020, Sundance Festival; 20 maggio 2021 in Italia
  • Durata: 1h 37m
  • Paese: Francia, Regno Unito
  • Lingua: inglese

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