Tenet
“Quello che posso darti è un gesto combinato con una parola: Tenet.” Un palindromo, ossia una sequenza di caratteri linguistici che non varia anche se letta al contrario, è l’incipit della nuova ed attesa opera di Christopher Nolan. Eppure dopo l’epilogo, lo spettatore non è invariato, anzi il punto di vista nel quale è posto per godersi lo spettacolo, ossia quello del protagonista (con il volto ma in primis col corpo di John David Washington), scatena dubbi, quesiti, confusione, proprio perché è destinato a essere come lui, a sentire le cose, non a comprenderle (come ci comunica con una prolessi Laura, interpretata da Clémence Poésy).
Perché come si possono capire a pieno le funzioni e le peculiarità del tempo, attraverso una pellicola che è letteralmente spaccata in due: nella prima parte, caratterizzata da una linearità – seppur da classico thriller – ove il protagonista nei panni di un moderno e multiforme 007 deve sventare qualcosa di distruttivo per l’umanità, senza sapere la reale natura del nemico; nella seconda invece inizia l’opposta lettura del palindromo, che porta Tenet a qualcosa al di fuori del comune, sfidando le leggi e le potenzialità della mise en scene, del decoupage, ma più di tutte del montaggio.
Quest’ultimo diviene – anche più della regia – il fiore all’occhiello, sia perché gestisce il ritmo infernale, incessante, calzante, di una storia in giro per il mondo (da Oslo, fino a Tallinn, passando per Londra ed Amalfi), sia perché permette a Nolan di razionalizzare visivamente il tema centrale, ossia l’inversione temporale. Il regista britannico sposa (filosoficamente) i dogmi del formalismo russo, nei quali il cinematografo ha come pilastro il montaggio, e Tenet ne è la chiara dimostrazione, ergo di come il film in pellicola dia un’esperienza talmente adrenalinica ed affascinante, da sfidare anche le peculiarità contemporanee della produzione digitale.
E non è solo in rapporto alla famosa e decantata (già prima dell’uscita in sala) sequenza dell’abbattimento dell’aereo, che sicuramente colpisce per uno sfrontato realismo, ma anche per come ogni componente, scena, alter-ego, comparsa della prima parte, copri una rispettiva funzionalità, al servizio della seconda metà. La sfida di Nolan è tanto ambiziosa, quanto contorta: come il cinema può rappresentare in immagini, il provare a incastrare come si vuole gli eventi, attraverso un viaggio inverso nel tempo?
Come si identificano l’altro da se, le realtà parallele, i multiversi? Tutti temi che si interfacciano, pur con risicata razionalità (oltre che per una difficoltà di parti della sceneggiatura, dato che alcuni dialoghi sono comprensibili solo se si mastica un po’ di teoria della fisica). Nonostante ciò, si presentano a spada tratta davanti allo spettatore, creando un vortice ciclico (tema del 2001 di Stanley Kubrick), ove il protagonista è l’unico totem (per riprendere Inception), l’unica variabile che può spezzare e modificare il già scritto e vissuto corso storico (su questo ed altro Tenet si affianca anche alle tre stagioni della serie Netflix Dark).
L’ossessione di Nolan per il tempo e le sue doti metafisiche arriva ai massimi sistemi con l’ultima fatica; se Interstellar vuole analizzare come l’amore possa divenire un mezzo, per controllare il tempo in una quinta dimensione, e se Dunkirk si sofferma – attraverso un plot suddiviso a trittico – sul come la relatività condizioni in contesti drammatici, e nel caso specifico durante la ricerca della sopravvivenza, Tenet non utilizza il tema dell’inversione temporale solo come se fosse un’arma nucleare, come uno scontro da inconscio collettivo tra passato, presente e futuro, come un rompicapo che arrivi al principio e alla fine, ma anche come elemento tecnico/narrativo (affidandosi al 70mm e all’IMAX) che unisca perfettamente immagine-azione ed immagine-tempo, regia e montaggio in vesti nuove, con l’unico scopo di solidificare la temporalità, e i paradigmi del movimento degli oggetti e dei corpi, attraverso anche un lavoro attoriale e scenografico imponenti.
Non si tratta di un semplice spy-thriller, spy-action, perché non troveremo gli equivoci di Intrigo Internazionale di Hitchcock, o la verve stilosa della serie degli 007, oppure l’esplosività del Mad Max di George Miller, o ancora l’aura puramente misteriosa e diplomatica de Il ponte delle spie di Steven Spielberg; avremo invece un’opera che sicuramente si riavvicina al cinema di genere, a tanti generi e sotto-generi, mescolati in maniera sapiente ed armonica, tuttavia creando un ulteriore attrazione – che solamente il grande schermo può emanare – verso il tempo, la memoria, la psicologia, il corpo e le civiltà. Tutti temi che sono stati da sempre studiati in rapporto al cinema e alle correnti artistiche, e che qui non vengono soltanto ripresi, bensì evoluti, esasperati, saturati.
Su questo, basti pensare anche al ruolo del villain, perché se in superficie esso è Andrei Sator (nome tra l’altro del creatore del palindromo), interpretato da un magistrale Kenneth Branagh, in profondità gli antagonisti sono molteplici: il tempo, ovviamente, ma anche l’algoritmo, quindi la macchina, l’artefatto, e se stessi, perché l’inversione temporale richiama gioco forze non solo una lotta contro un’altra versione dell’Io, ma anche un auto-rincorsa, per correggere gli errori commessi, per ritornare a fare determinate scelte, per salvare la catena degli affetti.
Immagini-affezione per l’appunto, che vengono abbastanza tralasciate da Nolan, ipnotizzato dalla macchina da presa, dalla tecnica e dal consegnare allo spettatore uno spettacolo, che dopo il lock-down dovuto alla pandemia, gli faccia considerare che il cinema come arte sul grande schermo, non possa essere sostituita. Il personaggio che inserisce un’umanità – all’interno della dimensione visiva – è quello della moglie di Sator, ossia Kat (interpretata da una carismatica e determinata Elizabeth Debicki), la quale è poco interessata alle armi e alle inedite forme della temporalità, perché le utilizza solamente allo scopo di salvare la sua vita e quella del figlio, la quotidianità e la libertà perdute, a causa dell’avidità del marito.
Non solo lei, anche il compagno di avventure del protagonista, ossia Neil (Robert Pattinson), è un personaggio dalle svariate sfaccettature: utile per delucidarci almeno un pochino sulla trama e sui temi più spinosi; fondamentale invece, per lo svelamento dei rapporti empatici ed amicali, che il main character crea o ha creato durante l’eterno viaggio.
Tenet è l’opera nella filmografia di Nolan con la minor componente emozionale, la minor caratterizzazione psicanalitica e personale dei personaggi, ma di sicuro è la più ambiziosa, coinvolgente ed originale sul fronte tecnico-estetico. Quella ove la potenza delle immagini, supera la comprensione della narrazione, ossia di ciò che sentiamo (Hitchcock e Kubrick ne sapevano qualcosa), per “accoppiarsi” unicamente al grande schermo, e non ad ogni dispositivo di riserva, che le logiche di mercato oggi mettono a disposizione, così da avere il cinema ovunque e in qualsiasi momento.
Il cinema come esperienza e non come intrattenimento, come evoluzione e non solamente riproposizione, come finzione analogica e non digitalizzata. Il cinema è il tempo, attraverso movimenti lineari e contrari, ove il regista prende l’arma montaggio e mette le mani sul film, ruotandolo in qualsiasi direzione come se avesse un cubo di Rubik, per portare l’arte sintetica ai livelli estremi. Lo spettatore di Tenet è lì, immobile e magnetico come la Gioconda di Leonardo Da Vinci, la forma cinematografica davanti a lui si muove, si smuove, muta perennemente e tenta di immergerlo nel caos; eppure lui la segue con gli occhi fissi in ogni direzione, senza mai distogliere lo sguardo.
- Diretto da: Christopher Nolan
- Prodotto da: Emma Thomas, Christopher Nolan
- Scritto da: Christopher Nolan
- Protagonisti: John David Washington, Robert Pattinson, Elizabeth Debicki, Dimple Kapadia, Michael Caine, Kenneth Branagh
- Musiche di: Ludwig Goransson
- Fotografia di: Hoyte van Hoytema
- Montato da: Jennifer Lame
- Distribuito da: Warner Bros. Pictures
- Casa di Produzione: Warner Bros. Pictures, Syncopy
- Data di uscita: 26/08/2020 (Italia), 03/09/2020 (Stati Uniti)
- Durata: 150 minuti
- Paese: Regno Unito, Stati Uniti
- Lingua: Inglese
- Budget: 200-225 milioni di dollari