Arti Performative

Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia // La guerra di Carlo Goldoni

Carmen Navarra

Al Teatro Fontana di Milano, dal 30 aprile al 5 maggio, è andata in scena la commedia “La guerra di Carlo Goldoni” della Compagnia del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per la regia di Franco Però. L’obiettivo di riportare in vita la commedia settecentesca nostrana nasce dalla lezione attualissima che si può ricavare dal suddetto testo che verte, come il titolo suggerisce, sulla tematica della guerra. In linea con i toni, i costumi e il linguaggio goldoniani, la guerra – che molti dei personaggi sostengono a gran voce – diventa protagonista indiscussa della pièce.
In un luogo indefinito e in un tempo intuibile ma non specificato – dietro queste scelte c’è probabilmente l’esigenza di polemizzare ironicamente sulla recidività dell’umanità in guerra – la giovane Donna Florida (Romina Colbasso) è combattuta tra l’amore (ricambiato) per l’alfiere Don Faustino (Filippo Borghi) che, con la sua armata, sta assediando la città e la fedeltà a suo padre (Francesco Migliaccio), che guida e difende l’esercito opposto allo spasimante di lei. La guerra tra i due uomini e, per estensione, tra due popoli, viene osannata dal commissario di guerra Don Polidoro (Mauro Malinverno), un personaggio solo all’apparenza minore che, mentre in sottofondo si odono cannoni e colpi di arma da fuoco, apre e chiude i tre atti di cui è composta la commedia; quest’uomo esalta il carattere economico di qualsivoglia guerra e ne chiarisce l’utilità paragonando il “mestiere” di chi fa la guerra a quello del medico il cui guadagno dipende dal numero dei malati che cura – “chi è quel medico che li vorrebbe tutti sani?” – sentenzia. La spietatezza di questo discorso trova fattività in Orsolina (Maria Grazia Plos), una ex lavandaia ora divenuta “mercantessa” grazie alla vendita al dettaglio di chincaglierie da guerra, in verità vittima a sua volta di un sistema perverso per il quale “il denaro si deve maritare con altro denaro”: ne consegue che la donna proverà a sedurre con la propria procacità il Commissario. Diverso è il ruolo di Donna Aspasia (Ester Galazzi), figlia del già citato commissario, la quale si è assuefatta alla logica distorta della guerra che sembra averla indurita e costretta a soffocare la vena romantica e le belle speranze che l’accompagnavano un tempo: “Mi rallegro con chi ritorna, mi scordo di chi ci resta, scherzo coi vivi, e non mi rammarico degli estinti”. Il suo tono insolente sull’amore che Donna Florida e Don Faustino si giurano tra un’archibugiata e l’altra – “con la morte intorno, vuol fare ancora l’innamorato”– nasconde, in verità, un senso di amara impotenza dovuto alla irrimediabilità della situazione. “La guerra non ha da riposare” è infatti il mantra di suo padre.
Dietro questa mistificazione della guerra, però, Goldoni – e nella riscrittura integrale della commedia il regista – lascia spazio a un imprevedibile lieto fine: l’armistizio firmato con il capo dell’armata assediante, Don Sigismondo (Riccardo Maranzana) che prelude all’unione dei due giovani i cui fumi d’amore faranno sfumare quelli di cannone. La maestria risolutiva di Goldoni, riproposta anche da Però grazie alla fisarmonica di Mitja Tull, si svela definitivamente nelle parole del finale, messe in bocca alla giovane Donna Florida: “(…) tutte le nazioni d’Europa guerreggiano ad una maniera, e sono tutte forti, valorose, intrepide e gloriose; ed auguriamo a tutti la pace, siccome a voi, umanissimi spettatori, preghiamo dal cielo la continuazione di quella tranquillità, che è frutto di sapere, di prudenza e di perfetta moderazione”.



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti