Teatro delle Albe // Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi
A Milano il Teatro Elfo Puccini ha visto protagonista sul suo palcoscenico Ermanna Montanari e la miracolosa vita di Aung San Suu Kyi, la leader birmana vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1991 dopo aver scontato venti anni di prigionia e isolamento.
«Tutto ha sempre inizio quando siamo troppo piccoli per ricordare».
In scena Teatro Elfo Puccini di Milano la miracolosa vita di Aung San Suu Kyi, la leader birmana vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1991 dopo aver scontato venti anni di prigionia e isolamento. Figlia del segretario del Partito Comunista Aung Suu, giovane contadino diventato poco più che trentenne il capo della ribellione birmana ai tempi dell’invasione inglese, ella porta nel nome e nel sangue il seme della rivoluzione.
«Tutto ebbe inizio quando avevo solo due anni» canta il coro per dare inizio alla storia di Aung San, tornata nel suo paese d’origine per accudire la madre in punto di morte ma che, schiacciata dalla violenza e dalla repressione della dittatura militare, decide di condurre la rivoluzione del popolo birmano. La storia del popolo scorre sui fondali, dove le immagini di repertorio della feroce dittatura si impongono sulla scena, mentre si susseguono cronologicamente le azioni dei personaggi; si alternano i generali, i demoni, e i militari dell’esercito. Dualistica è l’immagine che viene restituita: da un lato l’ironica caricatura dei generali e la fiabesca interpretazione dei demoni, dall’altro la fermezza e l’eleganza di una donna combattente. Un punto di vista sempre sdoppiato, arricchito da quello dei co-protagonisti: i generali in primis, avversari della leader del movimento per la liberazione della Birmania, e Aung San Suu Kyi, impressa nella storia per la fermezza e la sensibile ostinazione di una combattente che ha fatto della rivoluzione spirituale il suo cavallo di battaglia e visse la prigionia come fonte di meditazione e intima sofferenza per il suo popolo, oppresso dalla fame di libertà probabilmente più che da quella fisiologica.
«Se provassi odio o risentimento, ecco che sarei prigioniera»; in queste parole si racchiude il cuore dell’eroico personaggio femminile magistralmente interpretato da Ermanna Montanari, la cui precisa e straordinaria capacità di modulare la voce riesce a restituire perfettamente sia i momenti di intima solitudine sia le adunate in piazza della “Giovanna d’Arco” della Birmania, come la definisce frivolamente la giornalista di un giornale americano negli ultimi atti della sua prigionia.
La regia di Marco Martinelli ci inoltra in un continuo entrare-uscire dalla casa-fortezza, emblema comune della rivoluzione spirituale, luogo dove era contenuto il segreto della resistenza. Dai comizi in piazza amplificati con bellissimi oggetti di scena, megafoni d’altri tempi, ai soliloqui nella sua dimora, punizione più dura delle terribili torture alle quali venivano sottoposti i compagni del fronte di resistenza.
L’elemento fantastico e coristico diventa l’alter ego della comandante birmana, prendendo parola al suo posto, come nella toccante scena in cui viene annunciata la malattia del marito e la dura scelta da prendere per la donna del popolo birmano, andare o restare. «E se fosse il coro a raccontarvi questa storia d’amore?»
Come nel teatro di Bertold Brecht lo spettatore viene posto di fronte ai quadri mutevoli e scenografici che compongono linearmente la drammaturgia offrendo spunti diversi di costruzione di senso e comprensione della vita, della Storia, di una donna e di un Paese ancora in lotta.
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- Titolo originale: Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi