“T*Danse per una visione politica comune di arte nel mondo”: intervista a Marco Chenevier
Alla vigilia della IV edizione di T*Danse – Festival Internazionale della Nuova Danza di Aosta, di cui Scene Contemporanee è media partner, abbiamo sentito Marco Chenevier, che ne cura la direzione artistica insieme a Francesca Fini. Marco ci ha spiegato al telefono come questo evento non sia un semplice sguardo sulla danza contemporanea internazionale, bensì un’occasione di scambio e di incontro, punto di riferimento per la vita culturale della regione Valle d’Aosta e non solo, espressione di un concetto di danza democratica che mira alla creazione di una «comunità critica di consumatori di cultura» e all’«erotismo intellettuale» del pubblico.
Marco, come nasce un festival legato ai nuovi linguaggi e alle tecnologie, come connette livelli locali, nazionali e internazionali?
Il festival nasce da un’idea di Francesca Fini, co-direttrice del festival. Francesca è una performer che lavora tantissimo con le nuove tecnologie, mentre io sono un danzatore e coreografo. Per me la tecnologia è un tema inevitabile nella contemporaneità, è un campo di interrogazione assolutamente pertinente; per Francesca la danza, quindi il corpo, è un territorio infinito di esplorazione. Ci siamo incontrati ed è stato un incontro abbastanza naturale, nato dall’unione di due anime artistiche. Questo binomio conferisce al festival un’identità abbastanza precisa e settoriale avendo anche una sezione dedicata alla performance art, cosa assai singolare nel panorama nazionale.
Quali sono gli strumenti di interazione tra danza e tecnologia all’interno delle performance?
Ogni sera vengono presentate due o tre performance che mescolano danza, teatro, musica, arti circensi. La tecnologia è a diversi livelli, e in generale una parte integrante della drammaturgia di questi lavori. Elementi come laser, fumogeni, proiezioni s’integrano alla danza. Ce ne sono quattro, ciascuna creata da donne, in cui si esce dal dispositivo scenico, hanno formati diversi ed escono completamente dalle regole canoniche dello spettacolo.
Oltre al rapporto di interazione tra danza e tecnologia c’è un filo conduttore, un minimo comune denominatore che avete utilizzato per la scelta degli spettacoli e degli artisti presenti al festival?
T*Danse è sicuramente nato con l’intenzione di dare uno sguardo sull’eterogeneità dell’attuale scena contemporanea. Tuttavia, dopo le prime quattro edizioni del festival, il Teatro della Cittadella dei Giovani ci ha chiesto di entrare nella sua gestione, invitandoci a uscire dalla tradizionale dimensione dell’evento-festival, costruendo una stagione teatrale secondo una progettualità annuale dedicata al contemporaneo. Ne abbiamo preso in carico la gestione pochissimi giorni fa. Quindi, dal 2020 il festival sarà all’interno della cornice organica e strutturata di una vera e propria stagione. T*Danse resterà profondamente legata al contemporaneo e alle nuove generazioni di danzatori. Cerchiamo sempre di unire artisti affermati con altri giovani e con alle spalle già esperienze molto forti. Così il festival conserverà questa prospettiva sul contemporaneo e in più avrà uno sguardo ancora più audace. Porteremo in scena solo prime nazionali e lavori che hanno dietro un’attenta ricerca. Intorno al ragionamento politico e critico, che fonde tecnologia e società contemporanea, avremo più fili conduttori. Quest’anno, in particolare, abbiamo un filo conduttore femminile e la volontà di creare contrasti per soddisfare gusti e aspettative diverse in un territorio che non è molto abituato a questo tipo di iniziative. Disponiamo di proposte concettuali e complesse accanto ad altre più gioiose e ludiche. Cerchiamo di creare serate complementari in cui un pubblico eterogeneo, in un bacino di utenza ristretto come la Valle d’Aosta, possa trovare la sua parte di piacere erotico (nel senso più spirituale e intellettuale del termine) partecipando a una serata di programmazione.
Quali reazioni avete riscontrato nel tempo da parte degli spettatori e, quindi, da un bacino di utenza così ristretto e singolare come la Valle d’Aosta?
Sicuramente sul territorio non c’erano proposte di questo genere. Quindi, abbiamo iniziato senza doverci confrontare con modelli e paradigmi già esistenti in precedenza. La prima edizione (da noi chiamata “Edizione zero”) voleva essere più che altro uno studio di raccolta dati. Il centro cittadino di Aosta conta circa 30.000 abitanti. Avevamo una sala di 200 posti e abbiamo avuto un’affluenza di 30-40 persone. Dopo abbiamo progettato e sviluppato strategie e dispositivi di audience development e audience engagement, e dalla seconda edizione abbiamo raggiunto praticamente sold out tutte le sere.
Altro tratto distintivo di T*Danse, infatti, è la partecipazione e il coinvolgimento diretto degli abitanti di Aosta non solo attraverso masterclasses, laboratori, incontri con le scuole, ma anche e soprattutto strategie di audience engagement. Vogliamo parlarne?
Questi strumenti sono sicuramente l’effetto di un servizio che noi proponiamo; ma in realtà ciò che caratterizza T*Danse è il vero e proprio audience engagement che noi utilizziamo, ed è il mezzo che ci ha permesso di relazionarci con il territorio, non proponendo ma chiedendo delle cose. Ad esempio, gli artisti vengono ospitati non solo il giorno del loro spettacolo ma per tutta la durata del festival. È una vera e propria condizione contrattuale. Per ovviare il problema di un budget limitato, abbiamo ideato un sistema chiamato #coinvolgiti, chiedendo a privati cittadini di mettere a disposizione una stanza privata per l’ospitalità, impegnandoci nelle restanti spese di vitto, viaggio ecc. … In cambio sono concessi loro due biglietti gratuiti e l’accesso al Club degli Host in cui ci si incontra per aperitivi, riunioni, serate, che mette a disposizione uno spettacolo esclusivamente per loro. Così si è costituita una vera e propria comunità di attori del territorio che diventano effettivi partecipanti del Festival. Un altro esempio è Aspettando T*Danse, un’iniziativa che prevede dei laboratori civili aperti a varie fasce della popolazione: quello di Anna Albertarelli rivolto a tutti e dedicato alla disabilità, e quello di danza contemporanea e performance urbane tenuto da Marco Torrice aperto a tutti (professionisti e non). Quest’ultimo ha quindi creato un gruppo di praticanti con cui condividere tecniche e codici d’improvvisazione, realizzando inoltre delle performance in giro per la città.
T*Danse è anche attento ai giovanissimi, alla comunità scolastica e alla formazione professionale…
In effetti, conduciamo anche un progetto di alternanza scuola-lavoro con il Liceo artistico di Aosta, con cui da tre anni portiamo avanti due progetti: #comunicadanza di Simone Pacini, un concorso Instagram rivolto a tutte le classi seconde, preceduto da un ciclo di lezioni sulla storia della danza e da incontri in cui viene affrontato tutto il lavoro di organizzazione del festival. Avendo l’accesso diretto a tutto il lavoro, gli studenti realizzeranno poi uno storytelling del festival per partecipare al concorso. Inoltre, tutte le classi terze hanno avuto una sospensione dalle attività scolastiche in cui verranno a lavorare con noi, secondo la normativa della Buona Scuola. Saranno divisi in dieci gruppi per ciascuna delle strutture del festival, dalla produzione alla comunicazione. Quest’ultima, in particolare, è affidata a Renata Savo che svolgerà il suo lavoro di ufficio stampa del festival affiancata dai ragazzi. I ragazzi diventano a tutti gli effetti organizzatori di T*Danse insieme a noi. Era uno di loro l’anno scorso, Filippo Maria Pontiggia, che è stato assunto come fotografo e responsabile della copertura foto e video del festival. Tutto ciò crea un coinvolgimento dei ragazzi, delle loro famiglie dei loro amici. E questa è una forte operazione culturale, un modo per portare la danza nella formazione scolastica. Gli spettacoli sono esclusi dal progetto: agli studenti non viene chiesto di partecipare, ma sono loro stessi che spontaneamente chiedono di assistere agli spettacoli.
Quali sono le parole chiave che secondo te rappresentano al meglio l’identità di T*Danse e la novità di un festival che sembra essere un vero esempio di ‘arte democratica’ perché rende la danza un linguaggio libero, appartenente a tutti e a cui tutti possono prendere parte con un ruolo attivo?
Tutte le operazioni mirano verso questa direzione. Ogni giorno ci sono due masterclass con gli artisti che la sera saranno protagonisti delle performance; inoltre abbiamo organizzato incontri in cui si discute degli spettacoli, cicli di conferenze in collaborazione con la Biblioteca regionale con cui si cerca di coinvolgere un pubblico non particolarmente interessato alla danza, affrontando tematiche di altissimo livello sul teatro in generale. Perciò definirei T*Danse un festival accessibile a tutti, ma da diverse angolature. Le parole chiave dell’evento sono sicuramente “partecipazione” e “accessibilità”, ma anche “erotismo”, nel senso lato del termine. T*Danse non è solo cultura ma una vera e propria festa cui le persone prendono parte per il piacere – erotico, appunto – di farlo. T*Danse è erotismo intellettuale ma anche fisico perché la danza è gioia, è piacere di movimento e un festival di danza rappresenta anche solo la piacevole occasione di passare una bella serata. T*Danse è anche “comunità critica di consumatori di cultura” che non partecipano per consumare ma per incontrarsi. C’è una cultura dell’incontro. Infine direi anche che il festival è “politica”, per l’idea politica dell’arte, nella società e nel mondo. Non vogliamo creare un festival che riunisca linguaggi differenti, bensì uno che li mischi per creare, così, una visione politica comune di arte nel mondo.