Switch e il gioco dell’identità. Intervista a JJ Levine
Intervista all’artista canadese JJ Levine
Maschio o femmina? È questa la prima domanda che l’osservatore formula davanti ai ritratti fotografici del progetto Switch, realizzato dall’artista canadese JJ Levine. Premiato dal Pride Photo Award di Amsterdam, Switch è una serie di dieci dittici che presentano “scambi di coppia”: gli stessi soggetti sono fotografati due volte, con abiti maschili lui e femminili lei e viceversa, con risultati non solo divertenti ma anche sorprendentemente convincenti. “Una forma convenzionale per esprimere idee non convenzionali” afferma l’artista, che di anticonvenzionale ha tanto, a partire dall’identità, come ci racconta in questa intervista:
Ti definisci “gender queer”, tra maschio e femmina. Quanto influisce sulla tua arte questo aspetto della tua identità?
Il mio lavoro è direttamente connesso con la mia identità, perché gran parte di esso focalizza sulla malleabilità e sulla fluidità del genere. Mi identifico come trans e genderqueer, e il vivere a metà tra maschio e femmina è qualcosa che emerge continuamente nella mia pratica artistica.
Switch confonde la rappresentazione del genere: una volta hai affermato che questo progetto “intendeva porre domande sulla discrepanza che spesso esiste tra l’identità delle persone e il loro corpo fisico”. Una questione molto complessa ma anche una grande fonte di ispirazione. Qual è il tuo rapporto con le persone che ritrai?
Fotografo i miei amici, la maggior parte dei quali si considerano queer e molti trans o genderqueer. Ciò che facciamo con i nostri corpi e il modo in cui presentiamo le nostre vite può non rientrare negli schemi dei ruoli dei generi o nelle prescrizioni normative della sessualità, e condividere questa esperienza spesso ci rende più uniti.
Qual è il rapporto tra agenda politica e forte estetica formale, due elementi fondamentali del tuo lavoro?
La mia politica trapela da molti aspetti della mia esistenza, specialmente la mia arte. Anche quando decido di creare un’opera molto estetica o tecnica, essa rifletterà inevitabilmente la mia visione del mondo. Dunque non è sempre una decisione cosciente quella di esprimere una certa idea politica, ma è qualcosa sempre presente nelle mie immagini.
A quale pubblico si rivolge il tuo lavoro e qual è la reazione alle tue fotografie
Vorrei che il mio lavoro fosse accessibile a un numero molto ampio di persone. Mettere online gran parte del mio portfolio significa che esso può raggiungere molte persone che normalmente non visiterebbero una galleria d’arte. Sebbene io esponga spesso nelle gallerie, sono molto interessato anche alla possibilità che le mie immagini raggiungano chiunque sia interessato a vederle. Quando fotografo è molto importante il modo in cui i miei modelli si sentiranno vedendo il risultato finale e come io reagirò a esso. Realizzo immagini che rappresentano la mia comunità a Montreal e spero che facciano riflettere o suscitino emozioni anche nella gente di altre comunità queer. Vorrei anche che la gente si commuovesse vedendo le mie immagini. Per dirla brevemente, creo delle opere per un pubblico che voglia interagire con esse.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Continuerò i miei Queer Portraits finché sarò circondato dai miei fantastici amici e dalla mia famiglia queer. Contemporaneamente lavorerò anche a un altro progetto, più divertente, che si chiama Gender Fictions e somiglia a Switch. Vorrei anche ampliare Alone Time, un progetto che utilizza idee e tecniche simili a Switch ma mutua l’estetica dei miei Queer Portraits.