“Swans never die”: una lezione danzata sull’archetipo del cigno
La storica ex fonderia di Reggio Emilia, sede di Aterballetto, unico centro di produzione coreutico di natura totalmente pubblica, vanta da sempre un settore educational, di sensibilizzazione e di formazione del pubblico, che lo contraddistingue come un fiore all’occhiello per il nostro paese e il prosieguo della sua tradizione coreutica.
Un esempio in tal senso è dato dai numerosi incontri con il pubblico che accompagnano gli spettacoli per spiegarne la genesi, l’evoluzione, dialogare con gli artisti protagonisti e formare un nuovo pubblico sempre più colto e capace di leggere con senso critico il prodotto artistico con cui si confronta di volta in volta.
Assolutamente notevole è stato il progetto Swans Never Die che, in un doppio appuntamento che si è svolto lo scorso novembre, ha invitato il pubblico e gli artisti a ri-leggere La morte del cigno, celebre coreografia che Michel Fokine creò per Anna Pavlova nel 1905.
La coreografia composta per la splendida danzatrice rappresentava un cigno morente, al tramonto del suo volo, stanco ma ancora vivo nei suoi guizzi, maturo e instancabile sul suo leggerissimo pas de bourrée suivi, morbido nelle braccia spiegate in ali immaginarie. Tecnicamente impeccabile nella sua semplicità, La morte del cigno è stata danzata da molte ballerine soprattutto in quanto prova di grande espressività. Ma cosa resta oggi di un’opera coreografica considerata una pietra miliare della storia della danza occidentale dell’inizio del XX secolo? In che forme e in quali corpi è sopravvissuta nel tempo? Chi ne raccoglie l’eredità? Queste sono le domande che si sono posti i coreografi Chiara Bersani, Philippe Kratz, Silvia Gribaudi, Camilla Monga e Collettivo Mine. Una volta coinvolti nel progetto essi hanno dato vita a nuovi archetipi del cigno, questo fascinoso animale romantico che padroneggia nel repertorio della danza classica e non solo.
I dialoghi che hanno fatto seguito agli spettacoli sono stati condotti dalla giornalista Greta Pieropan e dal Prof. Alessandro Pontremoli. La prima conduce un talk con gli artisti. Insieme a loro indaga la ricerca di Chiara Bersani sul cigno inteso come animale vero e proprio. La performer cerca di rintracciare il suo cigno nel proprio corpo, ma anche nella sua voce, dando vita a una danza in cui, stesa al suolo, si libra lentamente in volo, talvolta cantando, talvolta gemendo di dolore e facendo prendere al suo corpo la forma dell’animale; Kratz compie la ricerca più tecnica di tutte e sfrutta l’immaginario del lago (chiaro riferimento al balletto classico Il lago dei cigni), proponendo due danzatori che sembrano pattinare insieme, scivolando dolcemente su un ideale specchio d’acqua, ritrovando nei loro polsi spezzati il becco del cigno; Gribaudi sfonda la quarta parete, sale sulle punte e insegna al pubblico, parlando un francese simpaticamente storpiato, il movimento del suo cigno, buffo, ironico e imperfetto.
A fare da secondo mediatore tra pubblico e artisti è il Prof. Pontremoli, che tiene, invece, una vera e propria lectio magistralis in cui ripercorre la memoria, la storia e il mito del cigno. E alla luce di queste visioni di danza ritrova dei richiami alle danze cinquecentesche presenti nel lavoro di Collettivo Mine, spiega le numerose correlazioni tra la coreografia di Fokine e la musica di Saint-Saëns e il tentativo di una loro riproduzione più jazzata ad opera di Camilla Monga, giovane coreografa dalla danza tenue e minimalista.
Queste varie eredità vengono restituite dai coreografi al pubblico e poi riassunte nella memoria della coreografia originale riprodotta da una giovane ballerina e allieva dell’étoile Liliana Cosi che, attraverso la memoria del proprio corpo, ha trasmesso all’acerba tersicorea ogni “battito d’ali” di questa coreografia.
Così il progetto diventa un’occasione preziosa per conoscere le forme che una coreografia può assumere a distanza di oltre un secolo dalla sua creazione, la storia e la memoria che la anima e, soprattutto, le sue modalità di trasmissione nella contemporaneità.