Surreale/attuale: i 50 anni de L’angelo sterminatore
L’istituto Cervantes di Napoli omaggia il cinema spagnolo con due classici di Buñuel
Si è appena conclusa la V edizione di CinemaSpagna, rassegna cinematografica sul cinema spagnolo organizzata quest’anno dall’Istituto Cervantes di Napoli, da sempre impegnato nella promozione e diffusione della cultura spagnola. Tra le varie proiezioni (in corso dal 24 al 26 Ottobre), due dedicate al maestro del cinema surrealista Luis Buñuel. Sono passati cinquant’anni dall’uscita de El ángel exterminador – considerato il capolavoro del regista aragonese – e il mini festival omaggia Buñuel proiettando il cult del 1962 e quello del ’65 Simón del desierto.
Forse non è un caso che “Don Luis” sia nato nell’emblematico 1900: lui, insieme agli altri artisti della tertulia di Madrid – uno dei circoli letterari nati intorno all’ambiente universitario della capitale – avrebbe segnato una parte della cultura europea del secolo scorso in maniera unica e preponderante. Insieme a Dalí scrisse Un chien andalou, cortometraggio del 1929 diventato manifesto del cinema surrealista: con il taglio dell’occhio nelle prime scene i due volevano rappresentare la rottura del surrealismo rispetto ai movimenti artistico-letterari precedenti; non si trattava, cioè, di un insieme di immagini senza connessione l’una con l’altra, ma di una modalità di espressione di un contenuto, in quel caso l’anticlericalismo e l’antiborghesismo. Questo era lo spirito del surrealismo, e questo l’indirizzo che guidò Buñuel per tutta la sua produzione.
Anche L’angelo sterminatore è una critica dell’immobilismo della borghesia di ogni tempo e luogo, da non spiegare con la semplice metafora dell’impossibilità degli invitati di uscire dalla casa dove si trovano a cena, ma da interpretare in maniera più sottile; si ricordi, infatti, che il film era ispirato all’opera teatrale Los naufragos di José Bergamin. Quello che interessava a Buñuel era proprio la possibilità di fare un film sul “naufragio” della borghesia, sulla degradazione, cioè, delle buone maniere e del perbenismo di questa classe sociale: nelle intenzioni del regista c’era il desiderio di avvicinarsi all’impatto visivo che dà il dipinto La zattera della Medusa di Gericault, dunque di un bellissimo apparato decadente. Così nel film, man mano che l’esilio forzato prosegue, crolla quell’apparato di cortesia e di educazione che i borghesi presumono di avere. C’è poi l’imperscrutabile, contro il quale nessuno, neanche il potente, può far niente.
Nessuna interpretazione religiosa o politica dietro questa trama, solo la rappresentazione delle reazioni umane di fronte a situazioni limite. Ancora una volta, il surrealismo rimane coerente con se stesso ne L’angelo sterminatore: se rappresentazione vuol dire puro piacere per la vista, allora non si deve spiegare che come divertissement visivo il passare delle greggi di pecore sullo schermo. Non manca neanche il piacere per lo spirito, con le battute e gli aneddoti risalenti al periodo universitario del regista e con una risoluzione ironica che ridicolizza la “tragedia” appena vissuta, poiché solo ritrovando la stessa posizione iniziale i protagonisti potranno finalmente uscire dalla casa – salvo poi rimanere di nuovo intrappolati in una chiesa. Il finale, appunto, è un altro riferimento all’anticlericalismo di Buñuel, che ci tiene a smascherare la pratica religiosa spesso non sincera della gente, paralizzata dalle sue stesse istituzioni.
Cinquant’anni dopo la prima uscita del film resta la sorprendente modernità dello stile di realizzazione, delle tecniche di ripresa e di montaggio (le ripetizioni di alcune sequenze disorientarono più volte i montatori nel corso degli anni), ma anche quella ideologica. Se il surrealismo come modo di vedere la realtà e di esprimere la propria interiorità era e sarà sempre un’avanguardia, i temi di Buñuel ne L’angelo sterminatore appaiono, oggi più che mai, tremendamente attuali.